lunedì 29 dicembre 2008

Buon Natale Allevi!

Era ora che qualcuno dicesse quelle che tanti come me pensano... 
Grazie Maestro Uto Ughi!


"La Stampa 24-12-2008"


«Presuntuoso e mai originale»
SANDRO CAPPELLETTO
Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista. Il più ridicolo era l’onorevole Fini, mancava poco si buttasse in ginocchio davanti al divo». Uto Ughi non ha troppo apprezzato il concerto natalizio promosso dal Senato della Repubblica che ha avuto come protagonista il pianista Giovanni Allevi. Il nostro violinista lo ha ascoltato - «fino alla fine, incredulo» - dalla sua casa di Busto Arsizio e ne è rimasto «offeso come musicista. Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del Nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze». 

Che cosa più la infastidisce di Allevi: la sua musica, le sue parole? «Le composizioni sono musicalmente risibili e questa modestia di risultati viene accompagnata da dichiarazioni che esaltano la presunta originalità dell’interprete. Se cita dei grandi pianisti del passato, lo fa per rimarcare che a differenza di loro lui è "anche" un compositore. Così offende le interpretazioni davvero grandi: lui è un nano in confronto a Horowitz, a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina. Questo deve essere chiaro». 

Come definire la sua musica? «Un collage furbescamente messo insieme. Nulla di nuovo. Il suo successo è una conseguenza del trionfo del relativismo: la scienza del nulla, come ha scritto Claudio Magris. Ma non bisogna stancarsi di ricordare che Beethoven non è Zucchero e Zucchero non è Beethoven. Ma Zucchero ha una personalità molto più riconoscibile di quella di Allevi». 

C’è più dolore che rabbia nelle sue parole. «Mi fa molto male questo inquinamento della verità e del gusto. Trovo colpevole che le istituzioni dello Stato avvalorino un simile equivoco. Evidentemente i consulenti musicali del Senato della Repubblica sono persone di poco spessore. Tutto torna: è anche la modestia artistica e culturale di chi dirige alcuni dei nostri teatri d’opera, delle nostre associazioni musicali e di spettacolo a consentire lo spaventoso taglio alla cultura contenuto negli ultimi provvedimenti del governo. Interlocutori deboli rendono possibile ogni scempio, hanno armi spuntate per fronteggiarlo».

Che opinione ha di Allevi come esecutore? «In altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio». 

Lui si ritiene un erede e un profondo innovatore della tradizione classica. «Non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile. E perfino nel suo campo, ci sono pianisti, cantanti, strumentisti, compositori assai più rilevanti di lui». 

Però è un fenomeno mediatico e commerciale assai rilevante. «Si tratta di un’esaltazione collettiva e parossistica dietro alla quale agisce evidentemente un forte investimento di marketing. Mi sorprende che giornali autorevoli gli concedano spazio, spesso in modo acritico. Anche Andrea Bocelli ha un grande successo, ma non è mai presuntuoso quando parla di sé. Da musicista, conosce i propri limiti». 

Allevi è giovane. Non vuole offrirgli qualche consiglio? «Rifletta tre volte prima di parlare. Sia umile e prudente. Ma forse non è neppure il vero responsabile di quello che dice».

C’è un aspetto quasi messianico in alcune sue affermazioni, in questa autoinvestitura riguardo al proprio ruolo per il futuro della musica. «Lui si ritiene un profeta della nuova musica, parla come davvero lo fosse. Nuova? Ma per piacere!».

Ma come interpretare questo suo oscuro annuncio: «La mia musica avrà sulla musica classica lo stesso impatto che l'Islam sta avendo sulla civiltà occidentale?» «Evidentemente pensa che vinceranno Allevi e l’Islam. Vi prego, nessuno beva queste sciocchezze».

sabato 20 dicembre 2008

Veni Emmanuel


Domenica 21 dicembre 2008 ore 20:30
Bologna Chiesa di 
S. Cristina
Schola Gregoriana 
"Benedetto XVI"
violino - Sini Simonen
direttore - Dom Nicola Bellinazzo

“Veni Emmanuel”. Nell’incanto del Natale ormai alle porte, la Schola Gregoriana propone, in questa quarta domenica di Avvento, un percorso liturgico-musicale che porterà l’ascoltatore a riscoprire e rivalorizzare il grande tema cristiano dell’Incarnazione del “Figlio prediletto del Padre”.
I quattro momenti che contraddistinguono questa elevazione spirituale: l’Attesa, la Nascita, l’Adorazione e la Presentazione al tempio, sono messi in rilievo dalla più grande tradizione gregoriana.
Il repertorio dell’Ufficio, più antico di quello della Messa, caratterizza gran parte della scelta musicale fatta per dare voce a questo “grande mistero”; da sottolineare la prima delle grandi antifone al Magnificat dette in “O”, di dubbia derivazione liturgica: forse gallicana o romana e poi rielaborata dalla tradizione gallicana come sostiene il Righetti nella sua “Storia liturgica” nel vol. II. Questa antifone accompagnano la liturgia del vespro dal 17 dicembre al 23, anti vigilia del Natale.
Non mancano, però, le pagine più belle e uniche nel loro genere del repertorio della Messa, come il meditativo “Dominus dixit ad me” e il gioioso e solenne “Puer natus”. Altri due brani molto importanti per la loro scrittura compositiva e complessità esecutiva sono l’ Offertorio “Ave Maria” della IV domenica di Avvento e l’Antifona “Adorna thalamum tuum” nella Festa delle luci che ebbe origine in Oriente con il significato dell’Incontro: “Ipapànte”. Nel sec. VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione delle candele (Candelora). La presentazione del Signore chiude le celebrazioni natalizie e con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone apre il cammino verso la Pasqua.
La proposta gregoriana è alternata con brani per violino solo di J. S. Bach, autore la cui produzione di largo respiro musicale ha spesso riflesso la rielaborazione luterana dell’antica monodia. La violinista finlandese Sini Simonen è invitata al concerto in quanto vincitrice del 1° premio al Concorso Internazionale per violino solo di Cremona, organizzato da Love2Arts di Anversa in collaborazione con la Fondazione Stradivari di Cremona.

PROGRAMMA

Bach dalla Partita nr. 2 D minor Ciaccona

L’attesa
Ant.Missus est Gabriel
Ant.Ne timeas Maria
Of.Ave Maria
Ant.O Sapientia con Magnificat (II)


Bach dalla sonata nr. 2 A minor Grave

La Nascita
Ant.Tecum principium
In.Dominus dixit ad me
TropoQuem queritis
In. Puer natus est
Al.Dies sanctificatus
Hym.Christe Redemptor omnium


Bach dalla sonata no. 2 A minor Andante

L’Adorazione
Ant.Reges Tharsis
Ant.Videntes stellam Magi


Bach dalla sonata no. 2 A minor Allegro

La presentazione
Ant.Lumen ad revelationem
Ant.Adorna thalamum tuum

mercoledì 17 dicembre 2008

Catalogo dell'opera per coro di Luigi Dallapiccola

Coro e strumenti

Due canzoni di Grado per mezzosoprano, coro femminile e piccola orchestra (1927)
Dalla mia terra per mezzosoprano coro e orchestra (1928);
Due laudi di Fra Jacopone da Todi, per soprano, baritono, coro e orchestra (1929)
Due liriche del Kalevala per tenore, baritono, coro da camera e quattro percussionisti (1930)
La canzone del Quarnaro per tenore e coro maschile e orchestra (1930)
I balconi della rosa e Il papavero, per coro di ragazzi e 17 strumenti (1934-5);
Il coro degli Zitti e Il coro dei Lanzi briachi, per coro e orchestra (1935-6)
Canti di prigionia per coro misto, 2 pianoforti, 2 arpe, e percussioni (1938-1941)
Canti di liberazione per coro e orchestra (1951-1955)
Requiescant per coro misto, coro infantile e orchestra (1957-1958)

A cappella

Estate per coro maschile a cappella (1932)
Sei cori di Michelangelo Buonarroti il giovane per coro (1933-1936)
Tempus destruendi – Tempus aedificandi per coro misto a cappella (1970-71)

lunedì 15 dicembre 2008

Bibliografia relativa alla tecnica della direzione di coro

Zecchi, AdoneIl direttore di coro
Ricordi #82035

Lunghi, Andrea - La direzione del coro: appunti per un'attività amatoriale
Edizioni Edipan

Andrea Landriscina - Manuale di Direzione
Scaricabile in PDF dal sito dell’autore

Consonni, E. - Istruzione e direzione del coro
Casa musicale Eco – 221032

Donella, V. - Voci, coro, coralità. Manuale del direttore di coro
Carrara - 2053

Korn, S. - Direzione ed educazione corale. Le possibilità, i limiti. (Gatti)
Rugginenti – 16791

Thomas, K. - Metodo di direzione corale (Boschini)
Guerini – 3494

P. P. ScattolinPropedeutica alla direzione corale
Quaderni della rivista FARCORO n°5 dell’AERCO

Massimo CarpegnaFare un Coro
Dino Audino editore

giovedì 11 dicembre 2008

CATALOGO DELL’OPERA CORALE DI F. POULENC

Con accompagnamento strumentale

Litanies à la vierge noire per SSA e organo (1936); arr. SSA archi e timpani (1947)

Sécheresses (cant., E. James) per coro e orchestra (1937)

Stabat mater per soprano coro e orchestra (1950 – 51)

Gloria per soprano coro e orchestra (1959 – 60)

Sept répons des ténèbres per soprano, coro maschile, coro di ragazzi e orchestra (1961 – 62)


A cappella

Chanson à boire
(17th-century), TTBB (1922)

Sept chansons, per coro misto(1936): La blanche neige (G. Apollinaire), A peine défigurée (P. Eluard), Par une nuit nouvelle (Eluard), Tous les droits (Eluard), Belle et ressemblante (Eluard), Marie (Apollinaire), Luire (Eluard) [La blanche neige replaced La reine de Saba (J. Legrand [J. Nohain]), sung at 1st perf. but later rejected]

Petites voix (M. Ley), SSA (1936): La petite fille sage, Le chien perdu, En rentrant de l'école, Le petit garçon malade, Le hérisson;

Messa in G, SATB (1937)

Quatre motets pour un temps de pénitence, SATB: Vinea mea electa (1938); Tenebrae factae sunt (1938); Tristis est anima mea (1938); Timor et tremor (1939)

Exultate Deo, SATB (1941)

Salve regina
, SATB (1941)

Figure humaine (cant., Eluard), 12vv (1943)

Un soir de neige (chbr cant., Eluard), 6vv (1944)

Chansons françaises: Margoton va t'a l'iau, SATB (1945); La belle se siet au pied de la tour, SATBarB (1945); Pilons l'orgue, SATBarB (1945); Clic, clac, dansez sabots, TBB, 1945; C'est la petit' fill' du prince, SATBarB (1946); La belle si nous étions TBB (1946); Ah! Mon beau laboureur, SATB (1945); Les tisserands, SATBarB (1946);

Quatre petites prières de Saint François d'Assise, per coro maschile (1948)

Quatre motets pour le temps de Noël, per coro misto: O magnum mysterium (1952); Quem vidistis pastores (1951); Videntes stellam (1951); Hodie Christus natus est (1952);

Ave verum corpus, SMezA (1952)

Laudes de Saint Antoine de Padoue, per coro maschile: O Jésu perpetua lux (1957); O proles hispaniae (1958); Laus regi plena gaudio (1959); Si quaeris (1959).

martedì 9 dicembre 2008

IL CATALOGO delle opere corali a cappella di B. Britten

A Wealden Trio: the Song of the Women (F.M. Ford), carol, SSA, 1929–30, rev. 1967 (1968);

A Hymn to the Virgin (anon., c1300), anthem, SATB double chorus, 1930, rev. 1934 (1935);

The Sycamore Tree (trad.), carol, SATB, 1930, rev. 1934, 1967 (1968);

Christ's Nativity, Christmas suite S, C, SATB, 1931 (1994);
1 Christ's Nativity (H. Vaughan)
2 Sweet was the song (W. Ballet's lute bk)
3 Preparations (Christ Church MS)
4 New Prince, New Pomp (Bible, R. Southwell)
5 Carol of King Cnut (C.W. Stubbs)

A Boy was Born (15th- and 16th-century carols, C. Rossetti), choral variations, male vv, female vv, boys’ vv, 1932–3 (1934), rev. 1955, rev. with org ad lib 1957–8 (1958);

Advance Democracy (R. Swingler), SSAATTBB, 1938 (1939)

A.M.D.G. (G.M. Hopkins) SATB, 1939 (1989);
1 Prayer I
2 Rosa mystica
3 God's Grandeur
4 Prayer II
5 O Deus, ego amo te
6 The Soldier
7 Heaven-Haven

Hymn to St Cecilia (W.H. Auden), SSATB, 1941–2 (1942), rev. 1966 (1967);

A Shepherd's Carol (Auden), SATB, 1944 (1962);

Chorale after an Old French Carol (Auden), SSAATTBB, 1944 (1992);

Deus in adjutorium meum [from incid music to This Way to the Tomb] (Ps lxx), SATB, 1945 (1983);

Five Flower Songs SATB, 1950 (1951);
1 To Daffodils (R. Herrick)
2 The Succession of the Four Sweet Months (Herrick)
3 Marsh Flowers (G. Crabbe)
4 The Evening Primrose (J. Clare)
5 Ballad of Green Broom (anon.)

We are the darkness in the heat of the day [arr. of no.2 from The Heart of the Matter] (E. Sitwell), SMezATB, c1956 (1997)

Sweet was the Song [rev. of Christ's Nativity, no.2] (W. Ballet's lute bk), carol, SSAA, 1966 (1966);

! For Alec's 80th Birthday, canon, 3-pt vv, 1971 (1972) [tribute to Alec Robertson]

Sacred and Profane (8 medieval lyrics), SSATB, 1974–5 (1977);

martedì 2 dicembre 2008

Concerto - "In Natali Domini"


Domenica 14 dicembre ore 17:30
Riola di Vergato - Chiesa di A.Aalto


Coro da Camera “Eclectica” - Bologna
diretto da C. Gentilini e M. Napolitano


Il programma si articola in tre sezioni dedicate ai seguenti momenti del calendario liturgico: l’Avvento, il Natale e l’Epifania. Ciascuna di esse è annunciata da un canto gregoriano, come a voler accompagnare l’ascoltatore in una dimensione intima, spirituale: Ad te levavi, antifona d’introito della prima domenica d’avvento, Angelus ad pastores, antifona tratta dalla liturgia delle ore del giorno di Natale ed Ecce advenit, antifona d’introito della festività dell’epifania, tutte eseguite dalle sole voci maschili. I brani corali proposti nel resto del programma abbracciano un arco di tempo di oltre cinquant’anni, e sono stati scritti da sia compositori del Novecento sia da contemporanei, tutti di origine europea, ad eccezione di Lauridsen, autore statunitense anche se con origini danesi. Molti dei brani sono accomunati dall’uso di materiale preesistente, utilizzato con approcci diversi: dall’armonizzazione di antiche melodie su testi latini, come nei brani di Novak e Kodaly, all’utilizzo di tecniche aleatorie su materiali di stampo gregoriano, come in Hodie Christus natus est, fino a giungere alla rielaborazione del corale di Bach In dulci Jubilo, nel brano Surroundings, in cui l’aspetto dello spazio acustico della chiesa come parte imprescindibile del brano assume una particolare rilevanza. 

• Tempus Adventus

Gregoriano Ad te levavi
J. Mantyjarvi Ave Maria
Z. Kodaly Adventi Enek
M. Napolitano O come splendi
J. Van Nuffel Ave Maria
J. Busto Joseph fili David


• Tempus Nativitatis

Gregoriano Angelus ad Pastores
P.P. Scattolin Hodie Christus natus est
B. Bettinelli Natale (testo di G. Ungaretti)
C. Gentilini Surroundings (elab. del corale “In dulci Jubilo”di J.S.Bach)
V. Miskinis Cantate Domino
M. Lauridsen O Magnum Mysterium


• In epiphania Domini

Gregoriano Ecce advenit
J. Novak Omnis mundus jocundetur
J. Novak Verbum Patris
J. Novak Resonet in laudibus
F. Farkas In Epiphaniam
U. Sisask Sanctus

venerdì 28 novembre 2008

CATALOGO DELLE OPERE PER CORO A CAPPELLA DI BRUNO BETTINELLI

Musica profana

Villanella e Canzonetta a 3 voci miste (1936), inedito.

Tre espressioni madrigalistiche (Già mi trovai di maggio; O Jesu dolce; Il bianco e dolce cigno) a 4 voci miste (1939),Padova, ed. Zanibon.

Tre liriche corali (O notte; Nascita d’aurora; Dove la luce) a 4 voci miste su testi di Ungaretti (1940), inedito.

Liriche di Ungaretti (Sono una creatura; Danni con fantasia; Solitudine; Dannazione; Non gridate più; Dannazione II; Pietà; Sereno, alba, mattina) a 4 voci miste (1971), Milano, ed. Ricordi.

Tre liriche di Fausta (Sole d’agosto; Estasi; Fuoco fatuo) per coro femm. o masch. (1972), Milano, ed. Carisch.

Tre nuovi madrigali (Parole in cerchio; Lo struzzo; Convien al secol nostro) a 4 voci (1974), Milano, ed. Carisch.

Poesie di Tiziana (Il segreto; Ti innamorasti del fiume; Il mistero) per coro femm. (1978), Milano, ed. Ricordi.

Tre canti (Filastrocca del villano; Vivo un sogno infinito; Burletta) per coro virile a 4 voci (1979-81), Padova, ed. Zanibon.

Due liriche corali (Autunno; Brezza sottile) su testo proprio (1992), Milano, ed. Suvini Zerboni.

Sette madrigali (O notte; Sia calmo il mio respiro; Autunno; Silenzio; Libere e lievi; Quando tutto all’intorno; Filastrocca del villano) a 5 voci (1993-5), Milano, ed. Suvini Zerboni.

Non mi negar,signora (Lamento di un innamorato) madrigale per coro misto a 5 voci (1994), in «La Cartellina», Milano, Suvini Zerboni.

Tre lamenti (Lamento di un innamorato; Lamento di un ammogliato; Lamento di un italiano) a 4 voci (1997), Milano, ed. Suvini Zerboni.

Dove la luce (Come allodola ondosa) a 4 voci miste (1997), inedito.

Due poesie di Montale (Sul muro grafito; L’anima che dispensa) a 4 voci miste (1999), inedito.

Tre liriche corali (Incede il tempo; Attesa; Commiato) a 4 voci miste su testi propri (2000-2002), Milano, Suvini Zerboni.

M’illumino d’immenso in Frammenti poetici di Ungaretti (dalla cantata “Sono una creatura” per coro e orchestra) a 4 voci (2000), inedito.

Due liriche lunari (Era dolce la luna di settembre; Ora che sale il giorno) a 4 voci miste (1999-2002), inedito.

Natale su testo di Ungaretti (2002), in “Chanton Noel” edizioni FENIARCO

Proverbi e motti popolari, scherzo madrigalistico a 4 voci miste (2002), inedito.


Musica sacra

Messa da Requiem a 6 e 8 voci (1942-3), Magenta, ed. Drago.

Domine exaudi, mottetto a 4 voci miste (1963), Bergamo, ed. Carrara.

Respice in me, mottetto a 4 voci miste (1963), Milano, ed. Musica Sacra

Tre mottetti (Bone pastor; Respice in me; Ave verum) a 4 voci miste (1985), Milano, ed. Suvini Zerboni.

Intellige clamorem meum mottetto a 4 voci miste (1990-91), in «Polyphonia» n.4, Bergamo ed. Carrara.

10 mottetti a 4 voci miste (Respice in me; Domine convertere; Exaudi Domine; Cum invocarem; Domine exaudi; Dextera Domini; Commovisti Domine; Eripe me Domine; Tenebrae factae sunt; Alleluia.Timebunt gentes) in «Polyphonia» n.15, (1993-4), Bergamo, ed. Carrara.

Ave maria a 4 voci miste (1994), Ente Rassegne Musicali “N.S.di Loreto” Loreto.

Ave maria per coro a 4 voci miste(1998), in «La Cartellina», Milano, Suvini Zerboni.

Missa brevis a 4 voci miste (1997), Bergamo, ed. Carrara.

Dittico Ambrosiano (Deus creator omnium; Aurora) a 4-8 voci (1997), Milano, ed. Suvini Zerboni

Varianti su “Amen” a 4 voci miste (1997), in «Polyphonia» n.47, Bergamo, ed.Carrara.

Varianti su “Alleluia” a 4 voci miste (1997-99) in «Polyphonia» n.33, Bergamo, ed. Carrara.

Lauda a 3 voci femminili (1998) in «La Cartellina», Milano, ed. Suvini Zerboni.

O quam suavis est, Domine a 4 voci miste (1998) in «La Cartellina», Milano, ed. Suvini Zerboni.

Pater noster (1998) a 4 voci miste, Milano, Ed. Rugginenti.

Ad te levavi animam meam (1999) a 4 voci miste, Pescara, Carsa edizioni.

Benedicam Dominum (1999) a 4 voci miste, inedito.

Quis dabit a 4 voci miste (2001), Bergamo, ed. Carrara.

Commovisti Domine terram (2001) a 4 voci, in «Polyphonia» n.47, Bergamo, ed.Carrara.

Canite tuba (2001) a 4 voci miste, in «Polyphonia» n.47, Bergamo, ed.Carrara.

De fructu operum tuorum (2001) a 4 voci miste, in «Polyphonia» n.47, Bergamo, ed.Carrara.

Da pacem Domine (2001) a 4 voci miste, in «Polyphonia» n.47, Bergamo, ed.Carrara.

Implorazione di un musico a 4 voci (2001), Bergamo, ed. Carrara

Veni Sancte Spiritus (2002) a 4 voci miste, in «Polyphonia» n.47, Bergamo, ed.Carrara.

Ave Regina coelorum a 4 voci miste (2002), in «Polyphonia» n.47, Bergamo, ed.Carrara.


Armonizzazioni di Canti popolari

Belina come te (canto popolare trentino) in «La Cartellina», Milano, ed. Suvini Zerboni.
Cantata dei “trei re” (Trento).
Che cosa fano le done bele (Trento).
Ciapa cinque.
Coglieremo un ramo di fior (Svizzera).
Col cestòn (Trentino).
Dormi dormi bel bambin (Lombardia).
E l’àn tagià i suoi biondi capelli (Bergamo).
E la bela de oflaga (Brescia).
E tuti i vòl la Gigia (Trentino).
El resegun (Lombardia).
En co de l’èra (Brescia).
Gran Dio del cielo (canto degli alpini).
I cacciatori (canto popolare ticinese).
I giovanotti al sabato sera (Svizzera).
I soldati van via (Svizzera).
Il muratore (Milano).
Il ventinove luglio (canto militare).
Io son nata ‘l mes di magio (Trento).
L’erba rosa (Trentino).
La Cartolina (Trentino).
La Moretina (Trentino).
La povera Monichella (Svizzera).
Mi gh’aveva ‘n uselin (Milano).
Motorizzati a piè (Canto degli alpini).
Ninna nanna (canto popolare calabrese) in «La Cartellina», Milano, Suvini Zerboni.
Ninna nanna del Bambin Gesù in «La Cartellina», Milano, Suvini Zerboni.
Perchè ‘ste còlere (Trentino).
Povero uselin in «La Cartellina», Milano, Suvini Zerboni.
Quando saremo giunti (Trentino).
Se la te domanda (Trentino).
Se passè di casa mia (Trento).
Son tre ore di mattina (Svizzera).
Tre Canti popolari lombardi a 4 voci miste e per coro virile (1941).
Varda i mòri che bate le ore (Trentino).
Viaggio a Betlemme (Como).

mercoledì 12 novembre 2008

Il CATALOGO delle opere corali di Maurice Duruflé (1902-1986)

Requiem, Op. 9 
for soloists, choir, orchestra, and organ (1947)
(Version with Organ, 1948; Version with Orchestra, 1950; Version with small Orchestra, 1961)

Quatre Motets sur des Thèmes Grégoriens, Op. 10 
for choir a capella (1960): 
Ubi caritas et amor, Tota pulchra es, Tu es Petrus, Tantum ergo


Messe Cum Jubilo, Op. 11 
for baritone solo, male choir, and orchestra (1966)
(Version with Organ, 1967; Version with Orchestra, 1970; Version with small Orchestra, 1972)

Notre Père, Op. 14 
for unison male choir and organ  (1977)
(Version for 4-part mixed choir a capella, 1978)

domenica 9 novembre 2008

La nascita dell'opera impresariale a Venezia e "L'incoronazione di Poppea" di C. Monteverdi

Il melodramma, concepito come spettacolo a pagamento, nacque a Venezia, alla fine degli anni trenta del XVII sec. La società veneziana era interamente fondata sul commercio, e i ricchi aristocratici, proprietari dei teatri, videro in questo genere una forma d’investimento. L’opera in musica, dopo la sua prima fase “cortigiana” svoltasi a Firenze e Mantova, si era spostata a Roma dove, grazie alla particolare organizzazione sociale dello stato pontificio e al lavoro di musicisti e letterati di rilievo, mutò forma e soggetti. Fu questo nuovo tipo di spettacolo, sensibile al gusto del pubblico per soggetti realistici (come quelli tratti dalla agiografia dei santi) e per lo sfarzo scenico-rappresentativo, che una compagnia di cantanti romani fece arrivare nella città lagunare, dove in pochissimo tempo proliferò e si evolse ulteriormente.
Nel 1637 il librettista Benedetto Ferrari, ed il musicista di Tivoli Francesco Manelli, compositore e cantore della cappella di San Marco, alla guida di una compagnia di cantanti romani e veneziani, affittarono il teatro S. Cassiano (utilizzato fino a quel tempo solo per le rappresentazioni della commedia dell’arte) e misero in scena l’Andromeda. La serata inaugurale era riservata ai soli invitati ma, alle repliche seguenti tutti poterono assistere agli spettacoli mediante l'acquisto di un biglietto d’ingresso. Prima d'allora lo spettacolo d'opera era concepito come un evento unico e irripetibile, riservato a principi e nobili che potevano disporre di un teatro privato. Il pubblico accolse con entusiasmo quest’innovazione e il successo ottenuto dall'opera in musica fu tanto grande che i teatri pubblici si moltiplicarono rapidamente. La stessa compagnia l’anno seguente rappresentò nel medesimo teatro la Maga fulminata; mentre due anni dopo s’inaugurò il teatro dei SS. Giovanni e Paolo, fatto costruire dalla famiglia Grimani; nel 1640 fu inaugurato il teatro San Moisè per volontà della famiglia Giustiniani; nel 1641 si aprì il teatro Novissimo, e prima della fine del secolo, a Venezia esistevano ben 16 teatri.
La famiglia che faceva costruire il teatro agiva come impresaria oppure affittava la sala a chi voleva assumersi il rischio dell'impresa. I palchetti, innovazione veneziana, erano affittati per la sola stagione d'opera, oppure per tutto l'anno: per accedervi si pagavano quattro lire venete, mentre con trentadue soldi si aveva diritto ad una sedia in platea. L'apertura del teatro pubblico diede e all'opera in musica una base sociale, facendo mutare il suo carattere di forma d'arte aristocratica, nella quale l'artista creatore era l'unico arbitro, in quella di un genere destinato a tutti. Lo spettatore, assolto il suo obbligo pagando il biglietto, poteva accettare l'opera applaudendo, oppure rifiutarla fischiando. L’impresario quindi gestiva la macchina teatrale, seguendo i gusti del pubblico che svolgeva un’azione determinante sull’indirizzo del genere. La figura del cantante, soprattutto quella del castrato e del suo virtuosismo vocale, acquistò in questo periodo una grande importanza, e contribuì alla rottura dell’equilibrio tra recitativo e aria. Su quest’ultima, musicalmente sempre più seducente, si concentrava l’attenzione e l’interesse del pubblico, e in questo contesto l’aspetto letterario perse notevolmente d’importanza. In questo genere i personaggi utilizzati non erano più quegli arcadici (Orfeo, Euridice, Dafne), ma prevalsero soggetti concreti: magistrati romani, imperatori, gente comune, che avevano più presa sul pubblico. Per il medesimo motivo si giunse alla mescolanza tra genere tragico e comico.
Durante gli anni quaranta la maggior parte dei librettisti veneziani apparteneva all’accademia degli “Incogniti”, e anche Gian Francesco Busenello, noto soprattutto per le sue poesie in dialetto veneziano faceva parte di questa confraternita. Egli fu l’autore dei libretti delle prime opere del Cavalli (Gli amori di Apollo, Dafne e Didone) e fu probabilmente proprio il Cavalli che lo mise in contatto con Monteverdi. Il pubblico era sempre più attratto dalle opere spettacolari, complicate, dove la bravura dello scenografo e dei macchinisti faceva passare in secondo piano la creazione del poeta e del musicista. Il Busenello però non sembra interessato al lato spettacolare della rappresentazione, ma ai caratteri dei personaggi, alle emozioni e alle passioni che li fanno agire. Questo suo stile risultava congeniale a Monteverdi e alla sua concezione estetico-musicale di rendere gli affetti in musica.
La prima dell’Incoronazione di Poppea avvenne presumibilmente la sera di Santo Stefano del 1642 nel Teatro di SS. Giovanni e Paolo a Venezia e proseguì per tutto il carnevale dell'anno successivo. L’opera ebbe subito un cla¬moroso successo e fra gli interpreti si ricorda la celebre Anna Renzi, romana, che vi sostenne la parte di Ottavia. L'opera venne ripresa sempre a Venezia nel 1646 ed infine a Napoli dalla compagnia dei "Febi harmonici" nel 1651; non è escluso però che la stessa compagnia l'abbia rappresentata anche in altre località finora rimaste ignote. In seguito l'Incoronazione cadde in oblio fino alla riscoperta avvenuta in epoca moderna. La partitura dell’opera ci è giunta in due redazioni manoscritte con significative divergenze tra l'una e l'altra, conservate a Napoli e a Venezia.
L’argomento de L’Incoronazione di Poppea è tratto dal XIV libro degli Annali di Tacito, fonte dalla quale la cultura dell'età barocca traeva una visione etica e politica in pieno accordo con il moralismo utilitaristico del proprio tempo. Il secondo atto attinge anche dalla tragedia Octavia attribuita a Seneca. Nelle mani del Busenello il soggetto tacitiano subisce tutta una serie di trasformazioni e stravolgimenti determinati da un lato da ragioni di moralità (o amoralità) del mondo romano nel venire traslato nella dimensione teatrale barocca, dall'altro da evidenti ragioni di carattere spettacolare. L'immoralismo di fondo che trionfa in questo melodramma non deve stupire: siamo nei primi anni dopo il 1640 quando da buona parte dell'Italia si registra una sorta di insofferenza per quel pesante ed oppressivo moralismo imposto negli ultimi decenni del XVI secolo. Di conseguenza si assiste a palesi fenomeni di generale rilassamento dei costumi e segnatamente ad un’impensata e coraggiosa affermazione di un particolare aspetto dell'erotismo. È evidente che le estasi amorose di Nerone e di Poppea sono palesemente di carattere erotico. Ciò che invece in quest'opera è convenzionalmente morale viene stigmatizzato e deriso come avviene con chiarezza per le figure di Ottavia e di Seneca. Questo clima di totale rilassamento etico rispecchia, grosso modo, l'ambiente della corte dove si rappresenta l'opera. Quarant'anni prima una così cruda rappresentazione del mondo cortigiano sarebbe stata pericolosa anche se traslata nell'antichità (pensiamo all'innocente satira "Privilegi della corte" del Vecchi nel Convito Musicale). È vero che le corti erano palesemente corrotte però raramente venivano rappresentate con tanto spietato realismo. L'incoronazione rimane dunque, oltre che uno specchio delle convenzioni teatrali e spettacolari del tempo, una configurazione forse pessimistica ma non improbabile della società barocca veneziana. Secondo C. Sartori sotto il soggetto storico dell’Incoronazione ci sarebbe celato anche un riferimento alle vicende della corte di Mantova, dove Vincenzo Gonzaga aveva fatto annullare il suo matrimonio con Margherita Farnese, e aveva sposato Leonora de’ Medici. 
Busenello interpreta la storia con una certa libertà creando una trama dove gli avvenimenti si succedono con un crescendo d’interesse, mescolando abilmente il drammatico, il patetico, e il comico, anche se non esistono veri e propri personaggi comici. Sappiamo che Monteverdi imponeva ai librettisti il suo modo di vedere le cose, ed era sempre pronto a modificare egli stesso il testo quando questo non gli piaceva (si pensi alla collaborazione con Striggio e al finale dell’Orfeo). Certamente il Busenello non è grande poeta, e non sempre sa sottrarsi al gusto del suo tempo: il suo linguaggio è retorico e pomposo, ma nonostante questo il suo lavoro rivela una notevole modernità. Dopo l’Incoronazione la sua poesia degenerò cedendo al cattivo gusto dilagante, inserendo sempre più scene comiche, autentiche volgarità, alternate al tragico e al tragicomico. Per la rappresentazione del 1642 venne stampato solamente l’argomento dell’opera; il libretto vero e proprio come lo aveva concepito il poeta, senza le numerose modificazioni apportate dal musicista, venne pubblicato solo nel 1656, nelle Ore Ociose: una raccolta comprendente i cinque drammi per musica scritti dal Busenello. Dal confronto fra questa stampa e il testo riportato sulla partitura musicale, si può vedere quali siano stati gli interventi montevediani sul testo, e valutarne il valore e l’efficacia teatrale. Monteverdi vaglia e implacabilmente taglia e modifica scene, episodi, versi con un’intuizione sicura dettata dalla situazione drammatica, dal momento scenico e da tutte le esigenze teatrali. Il musicista sopprime, probabilmente per problemi legati al ritmo dell’azione il coro di Virtù che, secondo il volere del Busenello, dopo il congedo di Seneca dai famigliari, cantava il coraggio e la dignità del filosofo dinanzi alla morte. Dopo la scena in cui Nerone festeggia con gli amici la morte di Seneca, il Busenello aveva previsto un duetto d’amore, che Monteverdi elimina in toto, forse perché per esigenze formali quattro duetti gli parevano eccessivi. Dopo la scena dell’incoronazione il librettista voleva finire con l’apparizione di Venere e un coro di Amori che insieme cantavano la gloria di Poppea; anche qui il musicista prende un’importante decisione aggiungendo come finale dell’opera un appassionato duetto d’amore, tra Nerone e Poppea.

LA VICENDA
Prologo. Fortuna, Virtù e Amore (probabilmente comparendo sopra una nube scenografica) annunciano allegoricamente la "moralità" dell'opera: Fortuna svillaneggia Virtù definendosi unica fonte di felicità; Amore proclama la sua sovranità su ambedue e a questo scopo porta come esempio lo spettacolo che sta per iniziare. 
Atto primo. Ottone sotto le finestre della casa di Poppea sfoga la sua travolgente passione amorosa, quando improvvisamente s'accorge che le sentinelle di Nerone, fortunatamente addormentate, sono nei pressi. Da ciò Ottone arguisce il tradimento di Poppea e lamenta la sua infelicità e le vane promesse dell'amata. Le sentinelle si svegliano deprecando la loro condizione di continui custodi dell'incolumità dell'imperatore, il quale s'affida esclusivamente ai consigli di Seneca e poco si cura del dolore di sua moglie, l'imperatrice Ottavia, e dei disordini che travagliano l'Armenia e la Pannonia. Nerone e Poppea escono e quest'ultima vorrebbe ancora trattenere l'imperatore fra le sue braccia. Nerone è costretto a lasciare la sua amante poiché a Roma nessuno dovrà sapere della loro relazione finché Ottavia non sarà stata ripudiata. Poppea spera ambiziosamente di giungere al trono ma la fida Arnalta le fa presente i pericoli di morte che incombono su di lei: infatti Ottavia ha scoperto l'amore segreto del marito e trama vendetta. Ottavia si lamenta del suo triste stato di moglie tradita e di regina disprezzata, la nutrice la consola esortandola a vendicarsi. Seneca esorta Ottavia a sopportare con dignità l'avverso destino che la ha colpita quando un valletto si rivolge villanamente al vecchio filosofo tacciandolo di ciarlataneria. Ottavia intanto informa Seneca che Nerone progetta di ripudiarla; Seneca considera amaramente le spine che spesso si nascondono sotto i manti regali e riceve da Pallade l'annuncio della sua morte imminente. Sopraggiunge Nerone e in un drammatico duetto col suo maestro, che tenta di dissuaderlo, afferma la sua risoluta volontà di ripudiare Ottavia e sposare Poppea. L'imperatore esprime tutta la sua sensuale passione a Poppea e le comunica il proposito di elevarla a dignità regale. La donna esulta di gioia, indi subdolamente insinua che il potere di Nerone è nelle mani di Seneca. In uno scatto d'ira l'imperatore ordina di eseguire la condanna a morte del vecchio filosofo entro la sera stessa. Ottone disperato lamenta con Poppea la sua condizione di amante inconsolabile, essa lo esorta a dimenticarla poiché ormai l'aspettano i fasti regali. Drusilla, segretamente innamorata di Ottone, gli rivela il suo amore che viene ricambiato anche se il ricordo di Poppea è ancora vivo.
Atto secondo. Seneca accoglie con gioia da Mercurio l'annuncio della sua morte imminente cui poco dopo fa seguito il messo di Nerone con l'ordine fatale. I familiari di Seneca a tale notizia sono costernati e commossi mentre li filosofo si prepara con grande serenità al trapasso. Nerone, in compagnia di Lucano, profana la memoria di Seneca cantando lodi alle bellezze di Poppea. Ottone depreca di avere accarezzato progetti omicidi verso l'amata Poppea quando sopraggiunge Ottavia che lo induce, suo malgrado, a promettere di sopprimere l'amante di Nerone servendosi di abiti femminili al fine di introdursi in casa di Poppea con maggior facilità. Ottone confida il suo piano a Drusilla la quale, non senza esortarlo alla prudenza, gli consegna i suoi vestiti. Poppea invoca Amore affinché possa vedere realizzato il suo sogno di diventare imperatrice. Mentre la donna dorme, Amore scende dal cielo e s'appresta a difenderla dall'insidia dell'imminente attentato. Ottone, nelle vesti di Drusilla, sta per uccidere Poppea quando per intervento d'Amore l'attentato fallisce. L'allarme dato da Arnalta mette in fuga Ottone che viene scambiato per Drusilla.
Atto terzo. Drusilla attende trepidante Ottone quando giungono i soldati di Nerone guidati da Arnalta che l'arrestano e la conducono al cospetto dell'imperatore dal quale viene condannata a morte. Ottone allora si palesa come unico colpevole dell'attentato e Nerone lo condanna all'esilio e alla perdita dei beni, gli permette però di portare seco l'appassionata e fedele Drusilla. Infine Nerone ripudia Ottavia ed annuncia a Poppea che finalmente potrà diventare sua sposa. L'ex imperatrice in un toccante lamento esprime tutto il suo dolore nell'abbandonare la patria e gli amici, mentre Nerone e Poppea, acclamati dal senato e dai popoli, celebrano il loro trionfo in un’apoteosi cui prendono parte anche Amore e Venere dal cielo.

L’Incoronazione di Poppea è la prima opera composta su argomento storico, ma la vera novità sta nel carattere realistico dell’argomento, scelto senza nessuna preoccupazione moralistica: l’amore tra Nerone e Poppea, un amore vero, sensuale, passionale, e non “arcadico” come quello tra Orfeo ed Euridice. Il libretto del Busenello offre al musicista un vero dramma, cioè un conflitto di passioni che in una stessa situazione provocano reazioni diverse nei diversi personaggi, e condizionano il loro modo di agire: il dramma si sviluppa in una serie di episodi ben congeniati in una vera progressione di tensioni. Dal punto di vista spettacolare L'incoronazione di Poppea non diverge dalle consuete creazioni veneziane. La presenza dì deità che intervengono copiose nella vicenda che peraltro tranne Amore che salva Poppea dall'attentato di Ottone possono essere agevolmente soppresse senza danno per la sostanza del dramma costituiscono un elemento spettacolare allora imprescindibile da ogni rappresentazione operistica.
In questa ultima opera Monteverdi raggiunge il culmine della sua maturità artistica. È un compendio di tutta la sua esperienza, in una perfetta sintesi di struttura e di espressione. Drammaticamente L'Incoronazione è il prototipo dell'opera storica che doveva, di lì a poco, muovere i primi passi con Cavalli. Musicalmente anticipa l'ordinato Settecento. Nella descrizione affettiva dei personaggi si giunge a personalità dalla netta definizione: Poppea, ambiziosa, perfida ed esperta nell'arte raffinata della seduzione; Nerone, il cui tradizionale aspetto di cinica crudeltà si attenua e si stempera in una dimensione del tutto insolita, dominata dall’insaziabile passione a cui egli è pronto a sacrificare tutto; Ottavia, la regina ripudiata, che alterna momenti di cupa rassegnazione ad aneliti di fremente gelosia; Seneca, figura nobile e austera di filosofo, non priva talvolta di una certa pedanteria; Ottone, infine, è forse il personaggio più interessante dal punto di vista della caratterizzazione drammatica. Se, infatti, per Monteverdi l'umana realtà delle passioni in conflitto è uno dei più validi motivi d'ispirazione, la figura di Ottone colpisce fra tutte proprio per quest’angoscioso e continuo dibattersi fra opposte passioni: gelosia e sete di vendetta da un lato, dall'altro, l'amore vano e senza speranza per Poppea. Tutta questa molteplicità di atteggiamenti trova riscontro in una altrettanto ricca varietà di forme musicali: arie e ariosi soprattutto, inquadrati da sinfonie e ritornelli strumentali e movimentati da frequenti passaggi in tempo ternario, e poi duetti e terzetti. Un cenno particolare meritano anche i due soli cori: il primo, quello dei familiari di Seneca nella sua articolata va¬rietà ci richiama alla memoria i cori dell'Orfeo intercalati dai ritornelli. Mentre questo primo coro si riallaccia in qualche modo alla tradizione del coro tragico, il secondo coro di consoli e tribuni del terzo atto che viene introdotto in scena da una sinfonia che ha tutta l'aria di una marcia trionfale ha già tutte le con notazioni funzionali e decorative del coro d'opera tradizionale.
L'aria vive in quest'opera l'ultimo e più significativo atto di una straordinaria stagione: quel momento in cui la melodia, non ancora legata a rigidi schemi formali, poteva ancora muoversi con una certa libera inventiva, alternando ritmi diversi o introducendo frasi di recitativo o anche basandosi sul sistema delle variazioni strofiche, in cui non solo il canto, ma talvolta anche il basso trovano sempre nuove soluzioni. Le voci, sono ormai definitivamente orientate verso l'espressione degli affetti. In campo strumentale, alla ricerca dei nuovi mezzi espressivi, si affianca e ben presto s’impone la conquista di una tecnica strumentale autonoma. Questa tecnica strumentale porta all’evoluzione di un nuovo stile che arriva a influenzare lo stile vocale, come soprattutto appare evidente nel nuovo tipo di diminuzioni che infiorano il canto nelle opere di questo periodo, che riproducono la caratteristica tecnica degli strumenti ad arco. Nel volgere di pochi anni, la tendenza alle forme chiuse renderà di nuovo possibile il connubio delle voci con gli strumenti, ma il momento delle ultime opere del compositore cremonese coincide con una forma vocale ancora libera, che gli strumenti avrebbero forzato nei loro nuovi modelli ritmici, offuscando irrimediabilmente l'originaria intenzione espressiva della musica.
In quest’ultimo dramma per musica monteverdiano la partecipazione strumentale è ridotta ai minimi termini: due parti di violini e un cembalo per i ritornelli, e il basso continuo per accompagnare le parti vocali, anche perché il teatro Grimano disponeva di una scarna orchestra. Sul manoscritto dell’opera non figura alcuna indicazione strumentale. Per quanto riguarda la mancanza di indicazioni scritte nelle opere veneziane, non bisogna dimenticare che la rappresentazione de l'Orfeo riveste ancora il carattere dell'avvenimento eccezionale, di cui le indicazioni contenute nella partitura offrono una sorta di resoconto legato a quella manifestazione particolare. Al contrario, nel più stabile assetto del teatro pubblico veneziano si era verificato senza dubbio un processo di standardizzazione dell'orchestra, dovuto probabilmente anche a ragioni contingenti, che prevedeva l'uso di determinati strumenti associato a determinate situazioni. Ecco perché non era neanche più il caso di indicare per iscritto la strumentazione che la consuetudine rendeva già noto in partenza.
L’espressione drammatico-musicale e tutta concentrata nella voce dell’attore-cantante. L’impiego delle varie forme musicali è regolato dalla situazione drammatica. Per questo motivo esse appaiono sempre nuove e diverse, e anche le parti più liriche non sono mai statiche e cristallizzate come accadrà nel melodramma di pochi anni più tardi. L’impianto drammatico poggia interamente su un declamato di ampio respiro, che comporta elementi felicemente fusi di recitativo, di arioso, e di parlar cantando. La transizione tra questo e le forme chiuse avviene con grande naturalezza. La musica non ha nulla di spettacolare o di decorativo: non mira a creare ambienti o atmosfere. La caratterizzazione dei personaggi è ottenuta con la pura espressione vocale, che di volta in volta rivela i diversi aspetti del carattere. Nei dialoghi con Poppea, Nerone appare carezzevole e sensuale con un’ombra di malinconia nella scena iniziale, poi violento nel secondo duetto; infine gioiosamente trionfante nella scena che conclude l’opera. Con Seneca prevale l’aspetto collerico e intollerante reso magistralmente con l’uso del concitato, quando l’ira diventa esasperazione “Tu mi sforzi allo sdegno”. Con Drusilla si presenta crudele “Flagelli, funi, fochi…” ancora con l’uso del concitato. La sua durezza esce quando ripudia la moglie Ottavia e la condanna all’esilio. Quando eleva al trono la propria amante “Ascendi, o mia diletta” l’accento solenne e soddisfatto, è reso dai vocalizzi sulla parola “gloria”. Appare poi di nuovo appassionato e ardente nel fremente e quasi morboso duetto finale “Pur ti miro…”che costituisce una delle pagine chiave di tutta l'opera: in esso appunto l'amore travolgente dei protagonisti viene presentato in un’idealizzazione musicale che ne evidenzia tutta la smoderata passionalità. Qui la delirante passione dei due amanti trova la sua più ardente configurazione musicale nell'incessante intrecciarsi di movenze sonore e nell'avvinghiante moto del contrappunti sorretti nella parte grave da un ostinato martellante che sembra volere alludere all'unico pensiero che travaglia i sensi e la mente dei due protagonisti.
È la prima volta che, nel teatro musicale, appare una donna in tutta la pienezza del suo temperamento sensuale. Poppea si rivela subito nell’inflessione della sua prima frase “Signor, deh non partite…”, in realtà ella è ambiziosa e decisa a ottenere ciò che vuole, e Nerone non è che un giocattolo nelle sue mani, che sa come raggirare a suo piacimento come si capisce nell’intonazione della parola “Tornerai?”. Ancora più esplicitamente il suo vero carattere si rivela nella scena dove si confida con Arnalta “Per me guerreggia Amor…”, e quando convince Nerone a condannare a morte Seneca. Nell’aria “Il mio genio confuso…” Poppea che sta per essere incoronata appare quasi incredula di fronte alla realtà di aver raggiunto il suo scopo. Questo stato è reso con melismi voluttuosi e svagati.
Il carattere di Ottavia si manifesta subito nel monologo dove esprime il suo dolore per la sua oltraggiata dignità di sposa e sovrana “Disprezzata regina…”, un recitativo-arioso cupo e veemente che sfocia nell’agosciosa progressione “Dove sei? In braccio di Poppea dimori e godi…”. La sua ira esplode poi nell’invettiva piena di violenza “Giove, se fulmini non hai per punir Nerone…”. Il suo dolore riaffiora poi nel sobrio recitativo “Addio Roma…”. Seneca compare in scena con un recitativo vagamente pomposo con vocalizzi e fioriture, mentre davanti all’annuncio della sua morte trova accenti di vera nobiltà, in un arioso d’ampio respiro e intensamente espressivo. Il recitativo “Amici è giunta l’ora” è uno dei momenti di maggior tensione drammatica. Mentre i parenti, con un lento sviluppo cromatico ascendente pronunciano una funebre trenodia corale “Non morir Seneca…”. Il primo personaggio che appare in scena nel primo atto è Ottone. Si presenta con un lungo recitativo melodico che nell’invocazione all’infedele Poppea si trasforma in arioso, ed è seguito da un recitativo concitato “Io son quell’Otton…” che si intensifica attraverso l’insistenza del testo resa musicalmente con un breve motivo ossessionante. Egli viene così caratterizzato come un uomo dominato da un contrasto di sentimenti: l’amore, l’odio e il desiderio di vendetta. Nel trepido ed appassionato monologo di Ottone non sussistono più schematologie prècostituite ma si trapassa da un mezzo espressivo all'altro con la maggiore libertà: dall'arioso espressivo al recitativo senza soluzione di continuità ma solo seguendo l'ispirazione dell'urgenza drammatica. Drusilla esprime il suo amore per Ottone nella bellissima Aria da capo “Felice anima mia…”, e nella breve aria, viva e intensa, che prepara la scena dell’arresto. I due brevi, snellissimi ariosi: “Misera me…” e “Adorato mio ben…” esprimono con sincerità intensa e appassionata il sentimento della fanciulla, decisa a sacrificarsi per l’uomo che ama.
Monteverdi non tralascia nulla dei suoi personaggi, neppure in quelli secondari. Il temperamento godereccio e lussurioso di Lucano si manifesta in una breve scena pervasa da una vera orgia di vocalizzi. La nutrice di Ottavia è il personaggio meno caratterizzato, mentre Arnalta è meglio delineata nei suoi colloqui con Poppea. La ninna nanna di Arnalta “Oblivion soave” è un’aria del sonno archetipica il forma di canzone con variazioni. Il Valletto, che anticipa moduli pergolesiani e mozartiani, appare beffardo nell'aria sfolgorante di comicità dove deride e motteggia il vecchio filosofo. Questo ondeggiare ambiguo tra il comico, il tragico e il grottesco è una delle più significative componenti della connotazione barocca dell'Incoronazione. Il carattere comico, venato di erotismo, entra anche nella deliziosa scena d’amore (un vero intermezzo d’opera) tra il valletto e la damigella. Persino i due pretoriani che vegliano davanti alla casa di Poppea sono disegnati con estrosa bravura: l’uno arrabbiato per l’ingrato lavoro che deve fare contrasta con il patriottismo del secondo.
Nell’Incoronazione, che diverrà il prototipo dell’opera storica, gli unici personaggi difettosi drammaticamente, e di conseguenza anche musicalmente sono quelli mitologici, cioè gli interventi del deus-ex-machina: Amore che riallaccia l’opera del passato. Nonostante questo, singolari motivi d’interesse presenta anche l’aria di Amore “O sciocchi, o frali sensi mortali”, dell’atto II che ha oltre all’indicazione autografa “Aria”, unica del genere in tutta l’opera, ha uno schema addirittura quadripartito ABBA.  In quest’opera Monteverdi realizza mirabilmente l’ideale equilibrio tra espressione drammatica ed espressione musicale. Dopo di lui il dramma per musica si trasformerà in melodramma, la declamazione e il canto diverranno recitativo e bel canto.
Dal punto di vista metrico il testo del libretto si presenta molto omogeneo, prevalentemente basato sull’uso dei versi endecasillabo e settenario. Questa regolarità è rotta saltuariamente dall’uso del quinario (piano e tronco) e dell’ottonario. La sottile differenziazione tra recitativo e aria presente nella musica rispecchia la struttura testuale. Le arie presentano una grande varietà per numero di versi, strutture metriche e rime, e formano un continuum con il resto del testo. Anche nei recitativi non mancano rime baciate, e non solo a fine periodo.
Riporto qui di seguito il testo del duetto finale tra Nerone e Poppea, non presente nel libretto del Busenello:

Pur ti miro, pur ti godo,
Pur ti stringo, pur t’annodo;
Più non peno, più non moro,
O mia vita, o mio tesoro.
Io son tua, tuo son io,
Speme mia, dillo, dì.
Tu sei pur l’idolo mio,
Sì, mio ben, sì, mio cor, mia vita sì.

Bibliografia
DE’ PAOLI DOMENICO, Monteverdi, Rusconi, Milano 1979
GALLICO CLAUDIO, Monteverdi: Poesia musicale, teatro e musica sacra, Einaudi, Torino 1979
BIANCONI LORENZO, Storia della Musica vol.5, E.D.T., Torino 1982

giovedì 6 novembre 2008

I responsori per la Settimana Santa di Marc'Antonio Ingegneri

Marc’Antonio Ingegneri (Verona, 1535–6; Cremona, 1592).
Responsoria hebdomadae sanctae, Benedictus, improperia quator vocibus & Miserere a sei vocibus
(1588 R. Amadino Venezia) - (Le parti a stampa di Cantus e Bassus sono presenti presso la Biblioteca comnale di Fabriano).
Edizione moderna a cura di Lavinii Virgili (Rome, 1942)
Marc’Antonio Ingegneri, Opera omnia, Libreria Musicale Italiana, Lucca 1994
(http://www.lim.it/collane/ingegneri.htm)

Ingnegneri dovrebbe essere considerato come uno dei compositori più aperti alle nuove estetiche e alle tendenze stilistiche del tardo 16 ° secolo. Non a caso il teorico e cantante da Bergamo, Pietro Cerone, nel suo trattato Melopeo y El Maestro (Napoli 1613), lo definisce come maestro di contrappunto, e gli attribuisce l’invenzione del contrappunto doppio alla 10° e alla 12°. Se nella produzione profana Ingegneri fa un uso intenso del cromatismo, nella musica sacra il suo linguaggio si attiene al gusto della scuola romana, e alle esigenze della chiesa post-tridentina. Nel rigoroso rispetto del decreto tridentino “ut verba intelligerentur”, lo stile contrappuntistico dell’Ingegneri si appoggia costantemente al verso per esaltare la funzione espressiva della parola, sottolineando la sua valenza semantica, mediante l’intima adesione verbale al suono musicale. Molti dei suoi mottetti poi si basano su melodie gregoriane che talvolta vengono utilizzate come rigorosi cantus firmi. Anche la scelta dei testi dimostra una grande inclinazione verso la sacra scrittura. Se la perfezione Palestriniana si manifesta come ricerca di un completo equilibrio tra forma e contenuto, l’Ingegneri tende verso una più drammatica visione del discorso polifonico, a volte contrassegnata da un certo manierismo in cui l’illustrazione sonora della parola si tinge di una inconfondibile vena di colori, e cromatismi, rivelando delle influenze veneziane.

Di seguito l'elenco dei responsori

FERIA V IN COENA DOMINI
1 In Monte Oliveti
2 Tristis est anima mea
3 Ecce vidimus eum
4 Amicus meus
5 Judas Mercator
6 Unus ex Discipulis
7 Eram quasi agnus
8 Una hora
9 Seniores populi

FERIA VI IN PARASCEVE
10 Omnes amici mei
11 Velum templi
12 Vinea Mea
13 Tamquam ad latronem
14 Tenebrae facte sunt
15 Animam Mea
16 Tradiderunt
17 Jesum tradidit
18 Caligaverunt

SABBATO SANCTO
19 Sicut Ovis
20 Jerusalem
21 Plange
22 Recessit pastor noster
23 O vos Omnes
24 Ecce quomodo moritur justus
25 Astiterunt
26 Aestimatus sum
27 Sepolto Domino

L'Ufficio delle Tenebre (Officium Tenebrarum) è composto da 27 responsori (9 per ciascuno dei tre uffici) da cantarsi al Mattutino del giovedì, venerdì e sabato della settimana santa (il triduum sacrum) cioè, secondo le ore canoniche, alle due di notte prima dell’alba. La celebrazione era detta "delle Tenebre" in ricordo degli antichi riti notturni, che rievocavano le tenebre che scesero sulla terra alla morte di Cristo. L'oscurità della morte, diventava l'immagine della Chiesa che brancolava nel buio senza il suo Dio. Questo rito prevedeva tre notturni (riprendendo la tradizione delle Vigiliae: i turni di guardia delle sentinelle), ciascuno dei quali era costituito dalla recita di tre salmi, tre letture, tre responsori, i quali cantati dopo la lettura riprendevano il testo delle letture e lo rielaboravano in forma libera e lirica. Il responsorio è il momento più intenso dell'orazione, in esso l'elemento poetico e musicale si fondono, conducendo il fedele a far proprio il testo, a viverlo e meditarlo. I versetti sono brevi, semplici ed efficaci, e il versus ad repetendum sempre presente facilita la memorizzazione della formula. Durante questa particolare ufficiatura (Matutina tenebraum), fino alla riforma liturgica del 1955 la chiesa era avvolta dalla penombra, a sinistra dell'altare veniva posto un candelabro con 15 candele (le tradizioni locali hanno sviluppato consuetudini diverse quanto al numero delle candele) 7 per lato e una al vertice, che rappresentavano gli 11 apostoli fedeli, le tre Marie e Gesù (la candela al centro più alta). Per ogni salmo cantato si spegneva una candela (simbolo della defezione degli appostoli), l'ultima non veniva spenta ma nascosta dietro l'altare a simboleggiare la sepoltura di Nostro Signore. Al termine della cerimonia il Liber Usualis prescriveva:“Sit fragor et strepitus aliquantulum” (Ci sia un poco di fragore e strepito): tutti i presenti procuravano rumore battendo le mani o il breviario sui banchi, oppure utilizzando tradizionali strumenti in legno, a rievocare il fragore che scosse la terra quando Nostro Signore spirò. Dopodichè, nel silenzio, la candela rimasta accesa e nascosta dietro l'altare, veniva ricollocata sul candelabro e tutti si allontanavano. Questi responsori, nel rinascimento spesso trattati polifonicamente, sono fra i momenti più suggestivi della liturgia cristiana, e, oltre alla raccolta dell’Ingegneri, hanno ispirato capolavori come i cicli composti da T. da Victoria (1585), Gesualdo da Venosa (1611) e A. scarlatti (1708).



Bibliografia
F.X. Haberl: ‘Marcantonio Ingegneri: eine bio-bibliographische Studie’, KJb, xiii (1898), 78–94 
R. Casimiri: ‘I “XXVII Responsoria” di M.A. Ingegneri attribuiti a Giov. Pierluigi da Palestrina’, NA, iii (1926), 17–40 
E. Dohrn: Marc’Antonio Ingegneri als Madrigalkomponist (Hanover, 1936) 
D. Arnold: ‘Monteverdi and his Teachers’, The Monteverdi Companion, ed. D. Arnold and N. Fortune (London, 1968, 2/1985 as The New Monteverdi Companion), 91–10 
A. Newcomb: ‘The Three Anthologies for Laura Peverara 1580–1583’, RIM, x (1975), 329–45 
P. Fabbri: ‘Concordanze letterarie e divergenze musicali intorno ai Madrigali a cinque voci … Libro primo di Claudio Monteverdi’, Musica e filologia, ed. M. di Pasquale (Verona, 1983), 53–83 
G. Watkins and T. La May: ‘Imitatio and Emulatio: Changing Concepts of Originality in the Madrigals of Gesualdo and Monteverdi in the 1590s’, Claudio Monteverdi: Festschrift Reinhold Hammerstein zum 70. Geburtstag, ed. L. Finscher (Laaber, 1986), 453–87 
A. Vassalli: ‘Il Tasso in musica e la trasmissione dei testi: alcuni esempi’, Tasso, la musica, i musicisti, ed. M.A. Balsano and T. Walker (Florence, 1988), 45–90 
M. Mangani: ‘Marcantonio Ingegneri nel quarto centenario della morte’, Rinascimento, ii(1992),31-125 
L. Paget: ‘The Madrigals of Marc’Antonio Ingegneri’, Musiek & Wetenschap, ii/2 (1992), 1–28 
L. Paget: The Madrigals of Marc’Antonio Ingegneri (diss., U. of London, 1995) 
L. Paget: ‘Monteverdi as discepolo: Harmony, Rhetoric and Psalm-Tone Hierarchies in the Works of Ingegneri and Monteverdi’, JMR, xv (1995), 149–75 
Antonio Delfino e Maria Teresa Rosa Barezzani: “Marc’Antonio Ingegneri e la musica a Cremona nel secondo Cinquecento, Atti della giornata di studi (Cremona, 27 novembre 1992)” Libreria Musicale Italiana, Lucca 1995 [ contiene 15 contributi] .

mercoledì 5 novembre 2008

Breve commento sui Quatre Motets sur des thèmes grégoriens pour choeur a capella, Op. 10 di Maurice Duruflé

Quatre Motets sur des thèmes grégoriens pour choeur a capella, Op. 10
(dédiés à Auguste le Guennant) 1960
1° audition le 4 mai 1961 par la Chorale Stéphane Caillat à Paris, église St Merry.
Editions Durand 1960

Come compositore, Duruflé ( 1902 - 1986 ) fu estremamente autocritico, pubblicò solo pochi lavori che spesso continuò a modificare anche dopo la pubblicazione. Come aveva già fatto nella sua più importante opera, il Requiem op.9, anche nell’op.10 Duruflé compone basandosi su delle originali melodie gregoriane. In questi quattro brevi mottetti egli dimostra la sua grande capacità di coniugare il carattere intimo e spirituale del canto gregoriano con il contesto polifonico, mantenendo un’elasticità ritmica in grado di dare forza alla caratterizzazione del testo. I testi utilizzati sono destinati a particolari occasioni dell’anno liturgico.

I. Ubi caritas 
E’ un testo cantato durante il rito della lavanda dei piedi al Giovedi Santo. La melodia originale gregoriana è inizialmente cantata dell’alto. Il suo libero fluire ritmico è armonizzato, in un’atmosfera meditativa, con un semplice accompagnamento sillabico dalle altre voci. 



II. Tota pulchra es, Maria
Si tratta di un testo, in onore della madre di Cristo, che viene particolarmente utilizzato per la festa di Maria Assunta. È un dolce canto lirico per tre voci femminili, di carattere leggero e vivace.



III. Tu es Petrus 
E’ un breve mottetto per il giorno di San Pietro. In questo testo, molto importante per la Chiesa cattolica, si proclama il primato di Pietro, quale roccia su cui è costruita tutta la Chiesa romana, centro della cristianità. Questo carattere solenne lo si può riscontrare formalmente nella costruzione iniziale del mottetto canonico, dove il tema è inserito in una struttura polifonico-imitativa molto stretta e nella forte e robusta cadenza finale.



IV. Tantum ergo sacramentum 
Questo ultimo mottetto ci riporta allo stile meditativo e nostalgico che caratterizza molti momenti del Requiem; è un inno cantato in adorazione del Sacramento della Benedizione, in particolare per la festa del Corpus Domini. Il tema alla parte dell’alto è seguito canonicamente nel tenore da un versione fiorita del tema stesso. La conclusione «Amen» risolve come un sospiro sull’intero gruppo di mottetti.


In questo articolo non mi sono occupato del giudizio sulle interpretazioni riportate, sarebbe interessante fare una comparazione delle varie versioni presenti in rete..... ci penserò..

martedì 4 novembre 2008

Breve commento sulle "Tre Espressioni Madrigalistiche (1939)" di Bruno Bettinelli

Bettinelli compose le “Tre Espressioni Madrigalistiche” per coro misto a cappella nel 1939 basandosi sulle liriche di Matteo Maria Boiardo (Già mi trovai di maggio, XV secolo), Leonardo Giustinian (O Jesu dolce, XIV secolo) e Laura Guidiccioni (Il bianco e dolce cigno, XVI secolo). Ognuna delle tre composizioni riprende antiche forme poetico-musicali rispettivamente, la canzonetta, la lauda, il madrigale. Pochi anni prima egli aveva musicato, sempre per coro, Villanella e Canzonetta (1935), e 2 Laudi per coro a 3 voci (1936). In queste composizioni, il giovane Bettinelli, si inserisce pienamente nella tendenza musicale (italiana ed europea) che vede in quegli anni la riscoperta delle antiche forme della musica vocale a cappella. Degli anni trenta infatti sono anche i Quattro madrigali italiani (1932) di Kodály, la prima serie dei Cori di Michelangelo il giovane (1933) di Dallapiccola, i 9 Responsori (1930) di Ghedini, le Six Chansons (1939) di Hindemith, e di Poulenc le Sept Chansons (1936), Quatre motets pour un temps de pénitence (1938-39). In queste tre brevi composizioni Bettinelli, in uno stile che potremmo definire neomodale, alterna diatonismo e cromatismo come colori armonici usati in senso espressivo, e ricorre frequentemente al madrigalismo, senza mai dimenticarsi della tecnica e il rigore stilistico-formale, come egli stesso afferma in una tarda intervista: "un continuo variare degli elementi proposti all’inizio e, successivamente, scomposti, rielaborati per germinazione spontanea, rovesciati, riesposti nelle figurazioni cellulari più svariate, derivate dalla speculazione contrappuntistica dei fiamminghi".