Cor mio mentre vi miro è il secondo madrigale del IV libro di madrigali a 5 voci che Monteverdi pubblicò nel 1603. Nelle composizioni di questa raccolta inizia ad intravedersi la cosiddetta “seconda pratica”, che fu il perno attorno al quale ruotarono le tante polemiche fra il Monteverdi e l’accademico bolognese G.M.Artusi. In questo libro infatti lo stile compositivo monteverdiano subisce un cambiamento e si assiste al trapasso dal puro linguaggio rinascimentale a quello del primo barocco. In particolare in questo madrigale l’ideale polifonico cinquecentesco, per il quale ogni voce è per importanza pari alle altre, cede il passo, in alcune zone, ad una composizione ibrida, dove si ha la tendenza a considerare l’insieme vocale composto da due linee principali: melodia e basso. Questa evoluzione porterà la voce più grave, verso la funzione del basso continuo, e la voce più acuta verso il melos proprio del recitarcantanto.
Iniziamo l’analisi di questo madrigale illustrando l’articolazione musicale del testo, tratto dalle Rime di G.B. Guarini:
Cor mio, mentre vi miro, A7
visibilmente mi trasformo in voi, B11
e trasformato poi, B7
in un solo sospir l’anima spiro. A11
O bellezza mortale, C7
O bellezza vitale, C7
poiché sì tosto un core D7
per te rinasce, e per te nato more. D11
Il testo, concepito come un monologo interiore del poeta rivolto alla donna amata, è concettualmente diviso in due sezioni: una prima parte formata da una quartina di versi nei quali è espressa la sua sofferenza; ed una seconda sezione, corrispondente ai secondi quattro versi, dove egli invoca la bellezza dell’amata. Così anche Monteverdi struttura musicalmente, seguendo la struttura delle rime, il madrigale in due macrosezioni: bat.1-24, e bat-25-49. Queste sono poi articolate in motivi parola non sempre corrispondenti al singolo verso: infatti l’enjambement fra il settimo e l’ottavo verso è attuato anche musicalmente con l’utilizzo di un motivo parola che non coincide con il settimo verso, ma comprende la prima parte dell’ultimo.
Veniamo ora all’analisi dettagliata dei vari episodi.
Il primo verso “Cor mio, mentre vi miro” possiede quelle caratteristiche musicali che, come detto prima, si riferiscono alla così detta “seconda pratica”. Qui la linea melodica del Canto, accompagnata per terze parallele dall’Alto, si contrappone alla linea del basso, che porta sempre allo stato fondamentale le armonie. In questo inizio si riconosce il prototipo dello stile della melodia accompagnata dal basso continuo. La pregnanza melodica di tale linea è confermata a bat.4 dal colore dall’appoggiatura mi-re che entra nell’unisono con l’alto e poi esce per salto di terza. Questo andamento è utilizzato al solo fine espressivo, come abbellimento della cadenza, che lascia poi semplice la triade di Re in secondo rivolto che precede la cadenza sospesa sulla repercussio. L’impianto modale di questo primo motivo parola è sul protus a Re, anche se inizialmente il Fa# dell’Alto gli conferisce una certa ambiguità tonale, che può infatti apparire come un passaggio dominante-tonica. Questa alterazione viene però alla terza battuta contrapposta, secondo il tipico linguaggio modale, dal Fa naturale che chiarifica l’assetto modale. Cifra caratteristica di questo primo motivo è il semitono diatonico La-Sib / Fa#-Sol nelle linee del Canto e dell’Alto. Questo, che è una variante della figura retorica del planctus, viene usato per dare alla melodia l’idea del lamento e della sofferenza. Il movimento di semitono, associato a tale figura retorica come espressione di un lamento ha un precedente illustre nel motivo parola iniziale del mottetto “Super fulmina Babilonis” di Palestrina. In questa composizione è il semitono diatonico discendente a conferisce alla melodia l’idea del lamento del popolo ebraico. Questa tecnica è ormai a inizio 600 codificata in una stilema ben riconoscibile, svincolato dal contesto sacro o profano. Identico stilema è infatti utilizzato dallo stesso Monteverdi anche nell’incipit del madrigale “Il lamento di Arianna” del sesto libro. Questo semitono diatonico, diventa poi per questo madrigale un motivo ricorrente ed un elemento di sviluppo del materiale. Dal primo verso condotto a tre voci, con l’uso di una timbrica rarefatta, ottenuta con l’assenza delle voci centrali, si passa d’improvviso a bat.6 all’utilizzo di tutte e cinque le voci. Tale brusco cambiamento, sonoro per volume e densità, e visivo sulla partitura serve a rappresentare musicalmente la trasformazione che subisce il poeta. Questo secondo motivo-parola, contrasta visibilmente, come anche recita il testo, con la partenza a valori lenti del primo verso, anche se solo per la diminuzione ritmica. Il ribattuto, ed il successivo salto di quinta discendente nel tenore, basso e canto, sono uno sviluppo della linea iniziale del basso. Da questa partenza con tre entrate imitative ravvicinate si ritorna gradualmente a valori lenti verso la cadenza conclusiva di questo verso. Le battute 8, 9 e 10 formalmente sono un ampliamento di bat. 4, qui le note di passaggio nell’alto e nel quinto, costituiscono la figura retorica del pleonasmo che va ad arricchire e ad ampliare il movimento cadenzale al tono di La. Questa cadenza perfetta, sicuramente più conclusiva di quella precedente a bat.5, fa si che i primi due versi vengano uniti in un’unica frase, che procede con un esordio a valori lenti, una corpo centrale (bat.6, 7) di sviluppo e concitazione ritmica, ed un graduale ritorno a valori lenti come chiusura. La modulazione dal Sol min a La magg. sottolinea l’idea dell’avvenuta trasformazione.
Il terzo verso “e trasformato poi” di sole due battute, è separato da una pausa, identificata con la figura retorica della suspirazio, che sarà la caratteristica del quarto verso “in un solo sospir l’anima spiro”. Questo terzo motivo-parola è contraddistinto dal repentino cambio di modo, maggiore minore e di nuovo maggiore, che, assieme all’andamento totalmente omoritmico in contrasto con le bat. 6-10, serve a rendere espressivamente l’avvenuta trasformazione, descritta nel testo.
Il quarto verso “in un solo sospir l’anima spiro” è ripetuto tre volte, attraverso l’elaborazione timbrica dello stesso materiale melodico-ritmico. Melodicamente il motivo è una palese derivazione del tema iniziale “Cor mio”. Questa corrispondenza melodica è giustificata, secondo la teoria degli affetti, dalla corrispondenza testuale, secondo cui i sospiri sono provocati dall’amore. Qui si riconosce ancora un prototipo della tecnica del basso continuo. La pausa che precede la parola sospiro, diventerà nel linguaggio musicale seicentesco l’archetipo della figura retorica della suspirazio. Sulle parole “In un solo”, l’utilizzo del ribattuto sulla medesima nota si identifica palesemente nel senso di “unicità” espresso dal testo. Sulla parola anima compare la figurazione semiminima col punto croma. La vivacità ritmica diventa quindi simbolo della vita e quindi dell’anima. La triplice ripetizione del verso corrisponde alla figura retorica della paronomasia, enfatizza il dolore del poeta, che in opposizione a quanto dice nel testo non spira in un solo sospiro, ma per amore pena a lungo. In questo motivo parola si riconosce poi la figura retorica della catabasi associata al verbo spirare. Nella prima esposizione a bat.13 il motivo al canto e accompagnato per terze parallele dall’Alto, mentre il basso recita ancora il testo del verso precedente. Questa tecnica ad incastro fra i motivi parola rende il linguaggio monteverdiano senza soluzione di continuità, e ancora una volta siamo di fronte ad un modello nel quale una linea melodica, più la sua terza parallela, sono accompagnate da un’altra voce che si può identificare in un basso continuo. La prima ripetizione del testo a bat.16 è affidata alle tre voci inferiori. La melodia è la medesima ma qui viene elaborata attraverso una tecnica riconducibile a quella del “falso bordone” con un andamento con triadi in primo rivolto. L’ultima ripetizione ha una stretta imitativa tra il canto e le tre voci centrali, e a bat.22 si raggiunge il climax. La catabasi melodica successiva si amplifica e copre nel canto una nona magg. Tale discesa è accompagnata da un repentino assottigliamento dello spessore sonoro, ottenuta a bat.23 con l’improvviso tacere di tenore e quinto, secondo la figura retorica dell’aposiopesi. Ed in fine sulla figura retorica dell’epanalessi, che è la ripetizione delle parole l’anima mia spiro come fossero una coda, il suono si spegne a bat.24 nell’unisono a Re, in modo da simboleggiare la morte del poeta.
Il quinto e il sesto verso, “O bellezza mortale, O bellezza vitale” esprimo il concetto di una bellezza, oggettiva e soggettiva, che allo stesso tempo è mortale e vitale, in quanto l’amata è la sola responsabile del destino sentimentale del poeta. Secondo la totale inscindibilità fra testo e musica che comporta le teoria degli affetti, Monteverdi utilizza lo stesso identico materiale musicale per questi due versi, trasportando però il secondo un tono sopra. Questa salita di tono diventa quindi l’unico parametro sonoro che rappresenta la differenza tra mortale e vitale. In questo motivo parola il ritmo verbale della parola bellezza si identifica con il ritmo musicale semiminima col punto-croma, che in precedenza caratterizzava la parola anima. L’accento tonico è spostato sul tempo debole per enfatizzare ancora di più questo duplice aspetto della bellezza. Modalmente si passa qui da un protus, più o meno costante in tutta la prima sezione, ad una zona bat.25-32 dove prevale l’idea di una tonalità maggiore, avvalorata dall’andamento in progressione: IV-V-I di Fa - cadenza a Do, e IV-V-I Sol – cadenza a Re. Questo motivo, con la sesta magg. discendente al Canto, verrà poi utilizzato come primo motivo parola del madrigale “O Mirtillo, Mirtillo anima mia” appartenente al quinto libro di madrigali dello stesso Monteverdi. Questa “autocitazione” dimostra il processo di semplificazione e la codificazione in stereotipi che il compositore cremonese apporta al suo linguaggio musicale. Le figure retoriche rinascimentali si cristallizzano così in stilemi ben definiti. L’attenzione creativa del compositore non è quindi più rivolta alla sovrapposizione contrappuntistica di linee, ma si è ormai spostata su altri parametri quali timbro e melos.
L’enjambement logico posto fra il verso “O bellezza mortale, O bellezza vitale”, e la prima parte dell’ottavo “poiché sì tosto un core, per te rinasce” è reso musicalmente anche dal Monteverdi. Egli per rendere esplicito il fatto che il cuore rinasce grazie alla bellezza, sovrappone i due testi, in modo da formare un’unità logico formale indivisibile. Il tenore ripete così i primi due versi della seconda quartina, mentre altre due voci cantano l’altro motivo parola. Quest’ultimo è affidato a due voci che partite da un unisono procedono poi per terze parallele. In questa tecnica si riconosce ancora affacciarsi dello stile linguistico-musicale del basso continuo. Ci sono quattro entrate poste in progressione per quinte: QA a Do, CA a Sol, di nuovo QA a Re, e CA a La. Anche in questa sezione si vede come ormai il rapporto tonale tonica-dominante si vada ormai affermando sempre di più. Il basso tace per tutta questa sezione ed entra a bat.41 dove c’è la quinta ripetizione in perfetto stile omoritmico di questo motivo parola ora non più accompagnata da quello precedente. Questa sezione è articolata in tre salite consecutive: dal Do del QA di bat.33 al Re del C a bat.37, dal Re del QA di bat.37 al Mi del C a bat.40 dove si raggiunge il climax, e da bat 41 a 43 dove tutte le voci, tranne l’alto che tace, salgono velocemente di una settima. Tutta questa sezione è una grande e lenta ascesa, che si identifica nella figura retorica dell’anabasi, che qui serve a simboleggiare la rinascita, non a caso le prime due salite si copre una distanza melodica di una nona, intervallo che simboleggia il nuovo inizio della scala, quindi la rinascita. A bat.43 troviamo di nuovo la figura retorica dell’epanalessi, coincidente con la ripetizione di una parte del testo alla fine del motivo parola. Giunti a questo culmine improvvisamente la densità sonora creata da quattro voci cessa e sia ha, con cinque entrate in stile imitato, una veloce discesa nella quale si identifica la figura retorica della catabasi utilizzata come simbolo della morte. La linea ascendente di questo motivo sulle parole per te nato, compie un brusco salto di settima discendente in corrispondenza della parola more. Il motivo chiude con una cadenza perfetta a Re magg., che essendo anche il primo accordo lega concettualmente la morte al cor mio, quindi all’amata.
Dall’analisi di questo madrigale si vede come ormai il linguaggio monteverdiano sia nei primi anni del seicento in evidente evoluzione. La tecnica imitativa, imperante nei madrigalisti della precedente generazione, è ormai praticamente assente, e anche dove appare è estremamente semplificata e libera da qualsiasi regola canonica. Questo aspetto di semplificazione aumenta l’espressività della linea melodica che, soprattutto nella voce superiore acquisisce i primi caratteri del melos del reicitar-cantando. Il rapporto testo-musica diventa nella seconda pratica il cardine del linguaggio compositivo, e il ritmo verbale si è ormai identificato con quello musicale. Per cui un collegamento testuale come quello tra cor mio e sospiro, dove è la donna amata che fa sospirare, non può non essere musicato con un evidente richiamo tematico. In questo nuovo linguaggio l’immediato madrigalismo onomatopeico dei compositori di fine ‘500 quali Marenzio, Gesualdo, De Rore, si trasforma in un più complesso codice, a servizio dell’espressività del testo e del suo contenuto emotivo. L’Artusi, aveva giustamente censurato questo nuovo modo di comporre, non rispettoso delle regole accademiche. Egli però non aveva capito che il linguaggio musicale di Monteverdi era in piena evoluzione. Il compositore cremonese chiama ancora Madrigale una composizione che del madrigale cinquecentesco ha ormai ben poco. L’alto livello artistico raggiunto da Monteverdi in questo madrigale sta proprio in questa totale aderenza fra la musica e la intima rappresentazione psicologica che il testo suggerisce. La composizione musicale va sempre più caratterizzandosi stilisticamente, assecondando l’ambientazione letteraria, psicologica e emotiva del testo. Infatti si vede come in questo madrigale, Monteverdi, non abbia inserito una sezione a valori lunghi con le dissonanze, come fa nel madrigale “O Mirtillo” per connotare in maniera forte la crudeltà di Amarilli. Qua si coglie poi al meglio la grande capacità e la fantasia con la quale il compositore riesce a elaborare, poche e semplici idee musicali in un discorso formalmente perfetto, e di grande tensione emotiva. Grazie al nuovo linguaggio della teoria degli affetti, che in questo madrigale inizia ad affermarsi, Monteverdi approderà attraverso l’utilizzo di un testo dialogico, prima a quello che verrà chiamato madrigale rappresentativo, quindi alla pura monodia accompagnata del dramma per musica.
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