domenica 12 ottobre 2008

J.S. Bach - Magnificat

Si legge nel Vangelo di Luca (1, 39-56) che la Vergine Maria, recatasi a far visita alla cugina Elisabetta dopo l'Annunciazione, sentendosi salutare da questa con le parole “benedetta fra le donne”, rispose con una invocazione di riconoscenza a Dio che inizia con le parole: “Magnificat anima mea Dominum”, “L'anima mia glorifica il Signore”. In questo cantico Maria, mentre dichiara con umiltà i doni ricevuti, esalta la storia prodigiosa d'Israele. In esso risuonano gli echi di quello pronunciato da Anna, madre di Samuele (1 Sam., 2, 1-10), e di parecchi salmi usati dagli israeliti per manifestare i loro sentimenti religiosi. Nella liturgia cattolica occidentale il Magnificat si canta, stando in piedi, ai vespri, tutti i giorni, anche il Sabato Santo e all'ufficio dei morti, ed è sempre accompagnato da un'antifona propria alla festa celebrata. Nei riti bizantini e nel rito antiocheno è cantato al mattutino. Il Magnificat viene solitamente eseguito a cori alterni, su formule melodiche assai simili ai toni salmodici, più o meno ornate secondo la solennità della festa: per ognuno degli otto modi gregoriani esiste una specifica intonazione. Nella musica polifonica dal XV al XVIII sec., il Magnificat fu trattato nello stile del mottetto: tra i primi compositori di Magnificat polifonici figurano Dunstable, Dufay, Binchois e Obrecht. Mentre Binchois musicò l'intero testo, Obrecht intonò solo i versetti pari, lasciando quelli dispari alla melodia gregoriana. Questo uso, analogo a quello praticato per l'inno, fu ampiamente seguito dai compositori successivi. Nel XVI sec. composero Magnificat Palestrina, L. Senfl, O. di Lasso, C. de Morales, T. de Victoria; in seguito, C. Monteverdi, H. Schütz, J. S. Bach, Mozart, Mendelssohn. A partire dal XVI sec. invalse l'uso di sostituire i versetti pari del Magnificat con brevi brani organistici basati sul corrispondente cantus firmus gregoriano: composizioni del genere sono contenute nell'Intavolatura di G. Cavazzoni (1543), nelle Obras de música di A. de Cabezón (1578), nelle 94 Magnificat Fugae di J. Pachelbel, ecc. Il Magnificat, nella traduzione inglese, fu introdotto anche nell'ufficio serale (Evening Prayer) della liturgia anglicana e come tale fu musicato dai maggiori compositori inglesi del Seicento, tra cui W. Byrd, O. Gibbons, H. Purcell.

Il testo latino è composto di 11 versetti (Luca 1, 46-55)
Magnificat anima mea Dominum.
Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo.
Quia respexit humilitatem ancillae suae; 
ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes.
Quia fecit mihi magna, qui potens est, et sanctum nomen ejus.
Et misericordia a progenie in progenies timentibus eum.
Fecit potentiam in brachio suo, dispersit superbos mente cordis sui.
Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles.
Esurientes Implevit bonis, et divites dimisit inanes.
Suscepit Israel Puerum suum, recordatus misericordiae suae.
Sicut locutus est ad patres nostros, Anbraham et ejus in secula.
Gloria Patri, gloria Filio, gloria et Spiritua sancto! 
Sicut era in principio, et nunc, et semper, et in secula seculorum, Amen.

Traduzione
L’anima mia glorifica il Signore
E il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore.
Perché ho guardato l’umiltà della sua serva; 
d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome.
Di generazione i generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore.
Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili.
Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia.
Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo! 
Com’era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei secoli, Amen.

Il testo del Magnificat era stato accolto con favore nella liturgia luterana. Legato strettamente all’Ufficio dei Vespri, il Canticum Mariae fu conservato, ma conobbe due distinte versioni: una in tedesco “Meine Seele erhebet den Herrn”, intonata sul IX tono salmodico (il tonus peregrinus), nel corso dei Vespri del sabato e della domenica, e una in latino che gli ordinamenti liturgici di Lipsia consentivano di intonare in stile figurato ma esclusivamente nelle tre feriae delle feste principali (Natale, Pasqua, e Pentecoste). Bach musicò sicuramente più volte questo testo, ma di quella produzione non rimane che un’unica opera in due versioni (BWV 243a e BWV 243) giunte a noi in due diverse partiture autografe (il Rust sostiene che fino a pochi anni fa esisteva ancora l’autografo di un altro Magnificat per soprano solo e orchestra, oggi purtroppo perduto). Opera non bachiana risulta invece il cosiddetto Piccolo Magnificat BWV Anh.21 che contrariamente alla tesi sostenuta dal Paccagnella , è oggi riconosciuta come opera di Telemann.
Il Magnificat della prima versione risale, secondo la testimonianza dello Spitta al 1723 e presumibilmente venne eseguito dopo il sermone del Natale di quell’anno; è composto nella tonalità di Mib magg., adatta all’impiego degli ottoni. Nel medioevo si usava in Germania rappresentare la nascita di Cristo durante i Vespri di Natale, e quest’usanza si mantenne a Lipsia fino al XVIII secolo, benché il consiglio avesse tentato in ogni modo di abolirla. La prova migliore di questa sopravvivenza è proprio costituita dalla prima partitura del Magnificat, che comprende ancora i canti che dovevano accompagnare la sacra rappresentazione del Natale chiamata: “Kindelwiegen”, la ninna nanna del bambino. Questi canti, due in lingua tedesca e due in latino sono: il corale “Von Himmel hoch, da komm ich her”, sotto forma di piccolo mottetto su cantus firmus a quattro voci a cappella, dopo il “Et exultavit”; il mottetto a quattro voci e continuo “Freht euch end jubiliert” dopo il “Quia fecit”; il mottetto a cinque voci con violino obbligato, strumenti e continuo “Gloria in excelsis Deo” posto dopo il “Fecit potentiam”; ed il duo per soprano, basso e continuo “Virga Jesse floruit”, una strofa di un inno natalizio medioevale, dopo l’“Esurientes implevit”. Questi canti, anziché essere eseguiti dallo stesso coro che cantava il Magnificat, erano presumibilmente eseguiti da alcuni coristi dalla tribuna del piccolo organo, collocato nella parte opposta della chiesa, proprio di fronte all’organo grande. Perciò il Magnificat, nella sua partitura originale, richiedeva due organi e due cori uno di fronte all’altro, allo stesso modo della Passione secondo Matteo. 
L’edizione a stampa del Magnificat che Pölchau fece presso Simrock nel 1811, mostra che egli non conosceva la seconda versione, riveduta e trasportata in Re magg. risalente al periodo 1728-1731. Nell'edizione completa delle composizioni bachiane troviamo invece solo questa seconda versione (senza l’aggiunta delle quattro interpolazioni natalizie); i redattori evidentemente pensarono che la versione in Re maggiore avesse sostituito la precedente. Questa concezione, tipica del diciannovesimo secolo, ha però fatto trascurare quasi completamente la versione originale. L’organico orchestrale del Magnificat in Re maggiore prevede 3 Trombe in Re, Timpani, 2 Flauti traversi, 2 Oboi e 2 Oboi d’amore (strumento creato intorno al 1720 in Germania, tagliato una terza minore sotto l’oboe usuale, dotato di una campana piriforme per addolcire il suono), 2 Violini, Viola, 5 Solisti (SSATB), e Coro a 5 parti (SSATB). Il continuo prevede l’organo associato, a violoncelli, violone e bassoni. Violone era il nome dato al contrabbasso della viola da gamba, alto circa 125 cm - come indica il Praetorius -, aveva cinque corde accordate per quarte. Il bassone era invece un fagotto basso.
La domanda che possiamo porci è se Bach pensò le modifiche apportate alla seconda versione come "miglioramenti" o se queste furono in alcuni casi rese necessarie da esigenze pratiche legate alla nuova esecuzione. Oltre al cambiamento dell’impianto tonale da Mib a Re maggiore, la differenza più evidente tra le due versioni è la mancanza nella seconda delle quattro interpolazioni natalizie. Wilhelm Rust commentò a riguardo: «sembrerebbe che queste interpolazioni non dovessero soddisfare Bach visto che non le incluse nella successiva revisione». La motivazione più plausibile di questo cambiamento è però quella individuata dallo Spitta, secondo il quale, la seconda esecuzione avrebbe avuto luogo non per Natale, ma per Pasqua o Pentecoste nelle quali era consueto eseguire il Magnificat in latino. In tali occasione i brani natalizi sarebbero stati naturalmente fuori luogo.
Per quanto riguarda la trasposizione a Mib è difficile credere che Bach abbia scelto il nuovo impianto tonale nella speranza di migliorare il lavoro; è invece molto più probabile trovare la causa di questa modifica in alcune esigenze pratiche. Comparando la partitura del Magnificat con quella di altri lavori bachiani si comprende che la ragione non poteva essere l’eccessiva altezza di alcune parti, visto che neanche l'introduzione dei flauti nei tutti avrebbe reso necessario la trasposizione; è anche relativamente noto che Bach non era propenso a questo tipo di cambiamenti, ed è anche molto improbabile che la scelta del Re magg. sia dovuta a ragioni estetiche. Quello che è inconsueto, comunque, rimane l’originale uso delle trombe in Mib, che Bach non ha utilizzato in nessun altro suo lavoro, in quanto erano difficilmente reperibili al suo tempo. Questo problema potrebbe essere allora una reale causa della trasposizione tonale. Potrebbe anche essere che Bach non fece di fatto uso delle trombe in Mib alla prima esecuzione. Allora è possibile pensare che gli oboi (sostituiti dai flauti nell’aria "Esurientes implevit"), fossero intonati secondo il cosiddetto “chamber-pitch basso” che era un semitono sotto al normale "chamber-pitch alto." Se così fosse allora l'assegnazione delle chiavi potrebbe essere ipotizzata come segue: le trombe erano in Re (non accertabile dalla partitura, come sempre in Do); gli strumenti a fiato di legno in Mib con il chamber-pitch basso suonavano in Re; i violini erano accordati un semitono sotto gli strumenti a fiato di legno, quindi suonando un Mib, usciva un Re; l'organo, era accordato secondo il "choir-pitch", e suonando un Do usciva un Re. Se questo è corretto, anche la prima versione suonò come se fosse stata scritta in Re maggiore. Sfortunatamente le parti, e in particolare quella dell'organo, dalla cui chiave si sarebbe potuta stabilire la tonalità, non si sono conservate. Ma sono giunte fino a noi altre manipolazioni simili risalenti al primo periodo di Bach a Lipsia. Possiamo riferirci, per esempio come ci informa Spitta all’esecuzione della Cantata, "Hochst erwunschtes Freudenfest" (composta per l’inaugurazione dell'organo nuovo a Stormthal), o alla Cantata n.23, "Du wahrer Gott und Davids Sohn," anche se è un esempio più lontano. Qui l'accordatura più bassa era dovuta non all'uso di strumenti a fiato di legno in chamber-pitch basso ma alla trascrizione delle parti dell'oboe per l’oboe d'amore, ma il processo era lo stesso. E impossibile stabilire se il Magnificat nella prima esecuzione suonò realmente in Re o in Mib, e ciò non è di importanza decisiva in ogni modo. Si può presumere comunque, che le motivazioni del trasferimento a Re magg. fossero di fatto sorte da qualche necessità pratica, e queste incitarono poi Bach a rivedere per intero il lavoro. Vediamo ora di analizzare alcune delle più importanti variazioni che Bach apportò alla prima versione del Magnificat. Nella versione originale dell'aria "Esurientes implevit" Bach prescrive due "flauti," scrivendolo in francese nella chiave del violino. Questi sono chiaramente parti per flauto diritto. L’estensione richiesta (Fa1-Sol3) è quella del flauto diritto soprano in fa che era il flauto più utilizzato al tempo di Bach. Queste parti erano suonate dagli oboisti. La trasposizione ha imposto un cambio di strumento sia per la nuova estensione sia per la nuova chiave (mi invece di Fa): i due flauti sono stati sostituiti perciò da due flauti traversi. Il cambiamento più radicale nella strumentazione è l’aggiunta di due flauti nei tutti. Queste due nuove parti sono un esempio della grande capacità bachiana di aggiungere nuove parti a un movimento precedentemente composto. Ha fatto uso dei flauti come segue: a) duplicando le parti dell’oboe o del violino; b) dandogli parti addizionali o note sostenute; c) riprendono parti che precedentemente erano assegnate ad altri strumenti 
Questa aggiunta dei flauti arricchisce il lavoro senza alterarne la struttura formale, e quindi è stata fatta per pure ragioni estetiche, in quanto non era necessaria. La parte dell'assolo nell'aria "Quia respexit" era suonata originalmente da un oboe, ma siccome la trasposizione la rese troppo bassa per questo strumento fu assegnata successivamente all'oboe d'amore. Ci si può chiedere, comunque, se l’accostamento di un suono profondo, come quello al quale l'oboe d'amore è forzato, all'umore brillante introdotto dalle parole "ecce enim ex hoc" sia tanto di successo quanto la melodia dell'oboe della prima versione, benché da una punto di vista formale la versione riveduta sia migliore. Nel terzetto seguente "Suscepit Israele," Bach introduce un cantus firmus sul 9th tono Salmistico, sul quale il Magnificat era normalmente cantato a Lipsia. La melodia ora assegnata ai due oboi era stata data originalmente a una tromba in Mib. In ogni caso alla prima esecuzione questa scelta non deve essere stata soddisfacente visto che l’assegnazione di questa melodia a due oboi è un procedimento insolito per Bach: in tutti i casi simili quando ha rivisto la strumentazione di un cantus firmus ha sempre fortificato la linea melodica. Per esempio nella Cantata n.185, dove in una versione più tarda l'oboe è stato sostituito da una tromba a coulisse. Si può presumere perciò che Bach trovandosi in un caso simile avrebbe tenuto la tromba in questa parte quando rivisitò il lavoro.
Quando Spitta, scrivendo dell'introduzione del corale nel terzetto, dice: «Bach introduce un corale quando vuole esprimere un sentimento vago di mistero. Il suono del corale è pieno di presagio, triste ed oscuro ed appare strano» cade chiaramente in errore, in quanto non era sicuramente nelle intenzioni di Bach fare apparire questa melodia come una evocazione, un bisbiglio romantico. Al contrario, il corale doveva essere un chiaro simbolo, e possedeva la sua forza solo se la sua melodia era riconoscibile. Se qualche volta risulta difficile per noi sentire la melodia del corale in alcuni dei movimenti di Bach, è perché non abbiamo sufficiente familiarità con questi canti e la loro appropriatezza stagionale; i suoi contemporanei di solito riconoscevano la melodia piuttosto chiaramente, e avranno velocemente individuato l’intonazione del IX Salmo che avevano sentito ogni giorno durante il Vespro, una melodia che in nessun modo suggerisce strani presagi. È solo agli orecchi di generazioni più tarde che ha questa può essere suonata "strano." I cambiamenti melodici, ritmici ed armonici sono tutti minimi, ma piuttosto importanti. Di solito sono tentativi per migliorare la versione originale. La parte dell’oboe nell'aria "Quia respexit" originalmente cominciava con andamento ritmico di semicroma puntata e biscroma e proseguiva, da bat.2 in poi, uniformemente con semicrome. Questa notazione è un modo per indicare le ineguaglianze ritmiche, che secondo la prassi esecutiva dell’epoca barocca i solisti adottavano normalmente, quando la melodia era scritta in note uguali. L’aver messo il punto nella notazione è niente meno che un'approssimazione all'usanza comune in quel periodo di accentare e sostenere la 1°, 3° e 5° nota piuttosto più che la 2°, 4° e 6°. E’ solo nella versione successiva in re maggiore, comunque, che Bach ha stretto il ritmo della terza di semiminime e tutti i passaggi corrispondenti. Il coro "Omnses generationes" non solo ha subito correzioni armoniche, ma in due punti il ritmo è stato animato per dare alle voci di soprano e tenore (ed agli strumenti dell'accompagnamento, incluso la viola) un accento, dopo la pausa di croma, invece che sul primo battito, come era nella versione originale. La parte del contralto alle bat.33-34 di "Esurintes implevit" ha subito un cambio particolarmente delizioso. 
Nella versione riveduta ha anche inserito delle pause come interruzioni del flusso ritmico (come all'inizio di bat.34 o la mancanza della nota finale nella parte del flauto alla bat.43). Il cambio di chiave ha reso necessario una modifica più decisiva della parte del violino nel ritornello dell'aria "Deposuit potentes”. Questo è un esempio di un tipo di melodia che deriva dal trasferimento in una singola parte di un passaggio originalmente concepito per due parti fugate. Quando l'aria è stata trasposta a Fa diesis minore l'inizio è diventato troppo basso per il violino, così la prima battuta e tutti i passaggi corrispondenti sono stati elevati di un'ottava. Questa soluzione è felice e conserva la struttura caratteristica del tipo di melodia, e questo modulo del tema è contenuto già nella parte del tenore della versione originale, che doveva cominciare nell'ottava alta, più adatta alla voce.

Analizziamo ora la struttura del lavoro, che risulta così organizzato: 
1) Magnificat (Coro, orchestra e continuo)
2) Et exultavit (Soprano 2 solo, violini, viola)
3) Quia respexit (Soprano 1 solo, oboe d’amore)
4) Omnes generationes (Coro e orchestra)
5) Quia fecit (Basso solo e continuo)
6) Et misericordia (Contralto e tenore soli, flauti, violini e viola)
7) Fecit potentiam (Coro e orchestra)
8) Deposuit potentes (Tenore solo e violini)
9) Esurientes implevit (Contralto solo, flauti e continuo)
10) Suscepit Israel (Soprano 1, 2 e alto soli, oboi e continuo)
11) Sicut locutus (Coro)
12) Gloria Patri (Coro e orchestra)

Ogni singolo pezzo, nonostante la brevità, ha un suo carattere ben definito. Esplicita è la rinuncia a utilizzare le forme più articolate dell’aria, a cominciare da quella col “da capo”. Il primo brano ha un impeto travolgente di splendore e ricchezza, il coro a 5 voci esulta “Magnificat anima mea Dominum” sorretto dalla piena orchestra a cui danno smagliante e festoso colore le trombe e i timpani. Un potente effetto produce, più avanti, l’aria per soprano solista “Quia respexit”, quando sulle parole “omnes generationes” tutto il coro interrompe la voce sola, all’improvviso. Una bellezza trascendente ha il trio per due soprani e contralto “Suscepit Israel”, dove i due oboi intonano all’unisono, nello stile di un cantus firmus la venerabile melodia del Magnificat. Al successivo intervento corale “Sicut locutus est patres nostros”, il compositore conferisce un carattere di mottetto in stile antico, scrivendo una fuga vocale, senza accompagnamento d’orchestra, per accentuare, anche nel linguaggio musicale lo stretto legame con il passato. Dopo questo pezzo austero, il ritorno dell’orchestra nel “Gloria patri” finale appare tanto più trionfale. Per due volte le voci s’innalzano in un arco poderoso per rendere gloria al Padre e al Figlio. Sulle parole “et Spiritui Sancto” la linea melodica viene invertita per simboleggiare la discesa dello Spirito Santo. Qui, l’entrata delle trombe conduce l’opera al suo culmine, proclamando trionfalmente: “Magnificat anima mea Dominum”, e questa stupenda ascesa di sonorità si conclude con la ripresa del tema iniziale del Magnificat alle parole “sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in secula seculorum, Amen”. 
Il Magnificat è una delle composizioni più compatte e suggestive nell’ambito delle opere sacre bachiane, permeata di gioia e di esultanza, da cui si irraggia lo stesso sano e saldo ottimismo che ha trovato irresistibile espressione nei concerti Brandeburghesi. È stupefacente per la classica e serena simmetria: ciascuno dei 12 pezzi di cui è costituito è di breve durata, ed è collegato al successivo in un meraviglioso avvicendarsi di luci e colori. «I brevi pezzi» afferma il musicologo Karl Geiringer , «che durano in media tre minuti ciascuno, sono chiaramente riuniti in tre gruppi, ciascuno dei quali comincia con un aria e finisce con un coro. L’intera opera è maestosamente inquadrata tra il possente coro iniziale del Magnificat e il Gloria conclusivo che, sulle parole “Sicut erat in principio…”, riprende la melodia del primo coro». Spitta ha invece diviso l’intera opera in cinque sezioni, ciascuna delle quali è conclusa da una delle quattro interpolazioni natalizie eccetto l’ultima che è conclusa dalla dossologia . Friedrich Smend lo divide in tre sezioni incorniciate da due cori. La sezione 1 va da "Et exaltavit” a "Omnes generationes"; la sezione 2 da "Quia fecit" a "Fecit potentiam"; la sezione 3 da "Deposuit" a "Sicut est del locutus" e vede le prime due sezioni uguali in lunghezza ("Stollen"), seguite da una terza conclusiva sezione ("Abgesang") come nelle canzoni dei Mastersingers e Minnesingers. Martin Kobelt opera con concetti presi in prestito dal dramma, come esposizione, tessitura della trama ed epilogo. Ma è ovvio che un'analisi specifica della costruzione musicale è impossibile utilizzando tali idee. Hans Stephan che ha investigato le modulazioni del Magnificat introduce uno schema secondo il quale l’opera ha una costruzione assolutamente simmetrica. I problemi della sua interpretazione sono che egli, non solo considera tonalità parallele La-Fa# minore o Sol-Re, ma anche Mi magg. e Fa# minore (che Kobelt chiama "il contrasto più forte immaginabile"), inoltre i due movimenti in Fa# minore "Omnes generationes" e "Deposuit" non sono collegati al tutto. L'interpretazione della struttura formale del lavoro proposta da Alfred Durr invece è basata, primo di tutto, sull'identità tematica che dà la forma di un arco all’intero lavoro. Inoltre in questa analisi il coro "Omnes generationes" non solo continua il testo dell'aria "Quia respexit," ma anche nel modulo musicale non è considerato un movimento singolo, ma un'aria con coro finale. Bach ha perciò assegnato a ciascuno verso del testo un movimento musicale. Ciascuno dei dieci versi (Luca 46-55) è quindi separato dagli altri, e la dossologia è una forma addizionata alla fine. Separatamente dai cori che servono da cornice alle arie, c'è un singolo pezzo centrale, per tutti, il coro "Fecit potentiam", in contrasto con gli altri cori, che sono basati sul principio del concerto, questo coro centrale è una grande fuga. Le parti di collegamento sono formate principalmente da arie, con una piccola eccezione. Davanti alla dossologia c'è un coro "Sicut locutus est " che non è riferito ad alcuna delle arie. Il brano corrispondente all'inizio del lavoro è l'aria "Et exultavit" che non appartiene al complesso di arie ma è imparentata con il coro iniziale sia grammaticamente che per la tonalità. Bach ha costruito un'aria in questo movimento e non un coro probabilmente perché ha voluto compensare il coro finale dell'aria "Quia respexit" che altrimenti avrebbe dato troppa preponderanza ai cori nella prima metà del lavoro.
La struttura del Magnificat può essere descritta come segue: incorniciati da un movimento introduttivo ed uno di chiusura e separati da un coro centrale ci sono due gruppi di tre arie, con quella di mezzo in tono maggiore, e le due ai lati in minore, e l’ultima delle tre introduce più di una voce. Le interpolazioni natalizie sono inserite in modo da mettere in luce i movimenti importanti: il coro centrale; l'aria mediana in ciascun gruppo di tre; i due movimenti d'apertura. Il primo gruppo di arie porta alla sottodominante di "Fecit poetentiam" (Sol magg.); il secondo gruppo nella tonica di "Sicut locutus est" (Re magg.). Le relazioni tonali della la prima sequenza di arie ricorrono esattamente nelle arie del secondo gruppo. Le tonalità del primo gruppo (Si minore; La maggiore; Mi minore) sono in relazione con la tonica (Re magg.) precisamente come quelli del secondo gruppo (Fa# minore; Mi magg.; Si minore) sono in relazione con la dominante (La maggiore). Solo per il Fa# minore del coro "Omnes generationes" non c’è nessuna tonalità corrispondente (o movimento) nella seconda parte. La struttura del Magnificat non è unica nell’opera bachiana. Può essere ritrovata in alcune cantate giovanili: "Aus der Tiefe" n.131 e "Gottes Zeit" n.106, probabilmente composte nel 1707. Entrambe hanno questa struttura di base: un coro d’apertura ed uno finale; un coro centrale affiancato da alcuni movimenti per solisti. È solo intorno l'anno 1723 comunque che Bach fece un grande uso di tale modulo rendendo la simmetria ancora più esplicita con la citazione della musica d'apertura al termine Della composizione. Nel Magnificat egli riprende la coda del primo coro nel coro finale "Sicut erat in principio"; nel mottetto "Jesu meine Freude" l'apertura e la chiusura dei movimenti sono le stesse; nel Passione secondo Giovanni vengono ripetuti i cori turba modificando il testo. Negli anni successivi quasi mai raggiunse tale ovvietà nella simmetria di nessun altro lavoro (sebbene la seconda cantata dell'Oratorio di Natale è costruita su linee simili). Il modulo è assente nella Passione secondo Matteo e anche nell’Offerta Musicale dove Bach dimostra di non essere più interessato a queste strutture simmetriche.

1 commento:

pau ha detto...

E' uno studio estremamente approfondito e competente. Lettura interessante, complimenti